L’ultima cena riassume tutta la vita di Gesù

Questo banchetto di comunione che sigla la «nuova alleanza» è preparato dalla cena eucaristica, presentata dalla pericope evangelica di Marco.

La istituzione dell’Eucaristia è talmente legata alla morte di Gesù da esserne oltre che un’anticipazione sacramentale, come negli altri Vangeli, anche una profezia diretta: «In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio». Gesù sta per attuare veramente quello che preannuncia con i gesti e le parole dell’ultima cena. Il calice e il pane spezzato che Gesù presenta ai discepoli  – immagine comune della pasqua ebraica –  sono l’annuncio della nuova alleanza, che sarà suggellata dal sacrificio di un «agnello senza macchia», il cui sangue riscatterà «la moltitudine».

In ogni celebrazione eucaristica, appena è compiuta la consacrazione, tu ascolti proclamare: «mistero della fede». Questa parola vuol significare non tanto una verità nascosta e incomprensibile per l’intelligenza umana,  quanto piuttosto un disegno e un progetto di Dio che si realizza nella storia in modo inimmaginabile, che va ben oltre le tue aspettative e il tuo stesso desiderio.

L’Eucaristia è la proclamazione del Vangelo, anzi di tutto il Vangelo  perché è l’annuncio della morte e risurrezione di Cristo («ogni volta che mangiate questo pane e bevete il calice, voi annunciaste la morte del Signore, finché egli venga»: 1Cor.11,26). Infatti il cuore profondo del Vangelo è costituito dall’offerta che Gesù  fa di se stesso al Padre per tutti noi attraverso la sua morte e risurrezione: offerta che costituisce la sostanza del mistero eucaristico. Il Vangelo tende irresistibilmente a farsi Eucaristia. L’Eucaristia è il Vangelo fatto sacramento. 

Il Papa Giovanni Paolo II, nella sua ultima enciclica, «Ecclesia de Eucharistia» scrive: «L’intero Triduo Pasquale è come raccolto, anticipato e «concentrato» per sempre nel dono eucaristico. In questo dono Gesù Cristo consegnava alla Chiesa l’attualizzazione perenne del mistero pasquale. Con esso istituiva una misteriosa «contemporaneità» tra quel «Triduum» e lo scorrere di tutti i secoli. Questo pensiero ci porta a sentimenti di grande e grato stupore. C’è nell’evento pasquale e nell’Eucaristia che lo attualizza nei secoli, una «capienza» davvero enorme, nella quale l’intera storia è contenuta, come destinataria della grazia della redenzione».

L’ultima Cena riassume tutta la vita di Gesù:  ripropone il senso di una vita consumata e donata, e implica una nostra scelta interiore, per accettare i frutti di quella morte, presenti in questo rito. Se il fare memoria, da una parte, è fare memoria di Gesù che si offre al Padre, raccontando ciò che Gesù ha fatto per noi, dall’altra parte il fare memoria ci conduce a trasformare il nostro cuore innalzandolo al Padre nello Spirito Santo. Tutto questo attraverso due vie: la via del silenzio che adora e la via della contemplazione che imita. 

Nota nel racconto quasi stenografico di Marco un particolare: l’iniziativa di celebrare la Pasqua non parte da Gesù, ma dai suoi discepoli:  «i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Gesù aspetta che anche tu sappia prendere l’iniziativa. Così Egli rispetta pienamente la tua libertà, affinché le tue scelte siano risposta giusta all’amore che Lui ti offre.

*Cardinale