Lo Spirito Santo, il regalo di Dio
Nella festa di Pentecoste contempliamo la venuta dello Spirito sulla Chiesa (At 2,1-11), dono del Padre che in questo modo comunica se stesso alle sue creature, donando la sua vita, un soffio vitale che riprende e supera quello che nella creazione passa nella «terra rossa» che è l’uomo e lo fa vivere (cf. Gn 2,7). È quindi il grande dono, il regalo più grande di Dio, che ci consente di percepirlo come Padre e non come l’essere alquanto meschino e invidioso che, a prima vista, sembra apparire in Genesi, quando confonde le lingue degli uomini (Gn 11,1-9), un episodio che assomiglia più al mito di Prometeo, punito per il furto del fuoco agli dei, che a un annuncio liberante, a una prima «buona notizia» che già preannuncia il suo pieno compimento in Cristo. Questo sguardo scettico sugli uomini che hanno la pretesa di fare da soli, ha prodotto nella storia ricorrenti scetticismi uguali e contrari nei confronti di questo Dio geloso, che ha fatto parlare di religione come oppio, alienazione e invito alla rassegnazione.
In realtà forse anche quello fu un dono, la necessità di incamminarsi sulla via della differenziazione, la rottura del giocattolo, dell’illusione dell’unità a buon mercato e, per contro, la necessità di allontanarsi, di riconoscere la propria irriducibilità, di svincolarsi da progetti che ci riducono a una sola dimensione. E il Dio che, per certi versi, ha imposto la diversità, è lo stesso Dio che donerà non un nuovo linguaggio, ma la capacità di muoversi in questa diversità. La diversità fa sempre paura, dà il senso del caos, della perdita di riferimenti certi: la Bibbia lo chiama l’abisso, l’oceano dalla forza cieca e bestiale sempre in agguato nella sua imprevedibilità. Ma lo Spirito, dice ancora Genesi, si libra sulle acque (Gn 1,2), le irregimenta, dona loro un senso, dice «fin qui giungerai e non oltre» (Gb 38,11). Ci sono foto molto belle e spettacolari che a volte si trovano sui giornali o in rete, che mostrano onde paurose cavalcate da surfisti in bilico sulla loro piccola tavola: mi sembra un bella immagine dello Spirito che guida l’uomo quasi a «surfare» nel mare delle contraddizioni, delle incongruenze della realtà, della vita sociale, con leggerezza, grazia, e anche, perché no?, con gusto e piacere. Lo Spirito è infatti il Paraclito, termine dalle molte traduzioni possibili (anche se non tutte ugualmente espressive), una delle quali potrebbe essere «facilitatore».
Si tratta di un termine usato in scienze dell’educazione per indicare professionisti che svolgono questa azione in vari ambiti: dalle riunioni di condominio ai negoziati di pace internazionali. Essa richiede capacità di ascolto, di non essere intrusivi, lasciando che il dialogo sorga dalle persone, eventualmente riassumendo e chiarificando, finché diventa superflua e può ritirarsi quasi senza che gli altri se ne accorgano: il consenso, quando sboccia, nasce solo da relazioni nuove.
Gli esempi sono sempre zoppicanti , ma lo Spirito non svolge forse questa azione discreta che si inserisce nelle frizioni che sperimentiamo con noi stessi e con gli altri solo che siamo disponibili a questa azione facilitatrice? Egli danza con leggerezza fra gli spuntoni rocciosi delle nostre convinzioni, l’onda montante della rabbia repressa, l’ansia del riscatto, i principi inderogabili che sclerotizzano la nostra libertà. È un soffio come quello donato da Cristo agli apostoli (e a tutti noi): un soffio che perdona (Gv 20, 19-23) e nel quale lo Spirito ci fa volare, fare lo slalom fra le diversità, danzare sull’orlo degli abissi che ci intimoriscono.
*Cappellano del carcere di Prato