L’esaltazione della Santa Croce
Domenica 14 settembre, Esaltazione della Santa Croce: «Chiunque, dopo essere stato morso, guarderà il serpente, resterà in vita» (Nm 21,4-9); «Sei tu, Signore, la nostra salvezza» (Salmo 77); «Cristo umiliò se stesso, per questo Dio lo ha esaltato» (Fil 2,6-11); «Bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato» (Gv 3,13-17)
Questa Domenica coincide con la festa della Croce e, nella scelta del Vangelo, la seconda prevale sulla prima, perché è una festa liturgica del Signore. La festa non è data, dunque, dal legno dalla croce, ma dal mistero d’amore che su di essa si è compiuto. Sulla croce si sale e dalla croce si scende; in qualche modo essa è il luogo dove si congiunge la nostra infinita tensione a voler scalare e conquistare il cielo all’infinita umiltà di Dio che scende fino al nostro niente per solo amore. Di croce si muore e dalla croce si riceve la vita: è il mistero della fede che riesce a sciogliere il nodo e il problema ultimo dell’esistenza: perché il male? Perché il dolore innocente? Perché la guerra? Perché la separazione? Perché? Per sciogliere queste domande, Nicodemo fariseo, capo dei giudei, uomo giusto e saggio si reca da Gesù, di notte.
Nicodemo preferisce colloquiare di notte lui, un vecchio dottore della legge, con un giovane rabbì di Nazareth per non compromettersi dinanzi ai colleghi. Nicodemo era convinto di sapere chi era Gesù e invece si sente provocato a ricominciare tutto da capo, a «rinascere dall’alto», altrimenti non avrebbe potuto comprendere il mistero della salvezza accanto a quello della perdizione, il dono della speranza in risposta all’orizzonte della disperazione. Ebbene, Gesù addita a Nicodemo il simbolo del serpente di bronzo che, nelle vicende dell’esodo, permise agli ebrei di salvarsi dai morsi di serpenti velenosi. Come quel serpente innalzato sul palo, così Gesù stesso, crocifisso sulla croce, porta salvezza e redenzione a coloro che credono in lui. Gesù, inchiodato e innalzato sul colle Calvario, fino alla fine del mondo resta a braccia aperte, «perché chiunque crede in lui, non muoia, ma abbia la vita eterna».
Quanti colloqui «notturni» viviamo anche noi in lotta con Dio, come Giacobbe con l’angelo! Come Gesù con Nicodemo, anche Dio si fa paziente con noi, e ci concede udienza, ma la risposta è sempre la stessa: ogni parola e ogni risposta di Dio è già detta e già data in Gesù, nel suo mistero di morte e resurrezione, di dolore e di salvezza. Passerà la storia e non cesserà la contrapposizione tra la nostra pretesa di scalare e conquistare il cielo e l’umiltà di Dio che scende in terra e si concede a noi.
Il colloquio notturno fra Gesù e Nicodemo simboleggia anche la notte protesa verso il giorno, il dubbio che cerca la luce della verità. Nel segno misterioso della croce, la notte si fa giorno, il dolore manifesta l’amore, la maledizione si tramuta in predilezione.
La figura di Nicodemo tornerà al tramonto della vicenda umana dell’uomo di Nazareth: lo difenderà prima e ne seppellirà il corpo in una tomba nuova dopo la tragedia del calvario. Alla fine il vecchio Nicodemo ci riuscirà a rinascere dall’alto: nei giorni decisivi della passione, lui sarà lì, vicino al crocifisso. In anticipo, però, Nicodemo viene istruito sulla possibilità di leggere e interpretare i segni in altro modo; non più «dal basso», secondo la sapienza e l’esperienza umana, ma «dall’alto», secondo la logica e la sapienza di Dio. Tornano, ancora una volta, le coordinate spaziali della croce: l’alto e il basso.
Anche l’esperienza religiosa dell’uomo di sempre può essere ricondotta a comprensione dinanzi alla croce di Cristo. Le religioni non nascono solo «dal basso», e cioè dal desiderio religioso dell’umanità, ma anche «dall’alto» (o «dall’intimo»), e cioè dal Mistero che si rende presente in esse. Se la rivelazione pone l’accento sul movimento di Dio verso la creatura, l’ascetica (e ancor più la mistica), invece, rende evidente l’ascesa (o immersione) della creatura e il suo libero aprirsi all’azione di Dio che illumina e trasforma. Rivelazione e ascesi sono il contenuto e il compendio dell’esperienza e della tradizione d’ogni religione. Nella croce c’è tutto: il dolore dell’uomo, l’amore di Dio. (A.S.)