Le vergini stolte, simpatiche ma pericolose
Ascoltando il brano evangelico di questa domenica (Mt 25, 1-13) credo che sia abbastanza comune un certo moto di antipatia verso le vergini sagge, così perfettine, adeguate al momento che stanno vivendo, e, per contro, un certo senso di solidarietà verso le altre, imbranate e disadatte. Non accade forse così anche per altri personaggi, quel Tommaso che ritroviamo anche nel modo di dire tuttora in voga: «io son come Tommaso, se non vedo non credo», o quel Pietro che non ne azzecca una? Non amiamo forse di più quei santi dalla vita travagliata, perlomeno all’inizio, come Agostino, Francesco, Maria Maddalena, lo stesso Paolo, rispetto ad altri dal volto così angelico da essere quasi sovrumani ma anche alquanto algidi?
Così le maestrine che dettano la lezione alle altre forse ci ricordano le persone che anche nei nostri confronti sanno tutto, hanno le soluzioni e le risposte già confezionate. Eppure la Parola ce le presenta come esempio di saggezza, quella sapienza di cui parla la prima lettura (Sap 6, 12-26), dono di Dio che non solo è una virtù umana ma partecipazione misteriosa alla sapienza creatrice che già rimanda al Verbo che si farà carne per la nostra salvezza.
Allora forse, al di là della simpatia, sarà opportuno cominciare a prendere le distanze da quelle figure, le vergini sciocche, nelle quali forse ci riconosciamo più agevolmente. Dietro all’immagine del limite umano, del suo incedere zoppicante, che di per sé potrebbe portarci ad avere una percezione più esatta della nostra situazione e spingerci ad un cammino di ricerca, si può in realtà nascondere la cialtroneria che arriva a diventare icona dell’umano in un pericoloso gioco al ribasso.
È un tema che conosciamo bene perché lo ritroviamo intorno a noi e forse in noi giorno dopo giorno. La cialtroneria, ovvero l’adeguamento pedissequo a ciò che fan tutti, la glorificazione del nulla che troviamo spesso in televisione e sui giornali, l’apprezzamento per il simpatico mascalzone dalla faccia da guitto può diventare, e di fatto diventa, appiattimento di ogni senso critico fino all’omertà e alla connivenza, il voltarsi dall’altra parte. E poi le bufale in rete, l’insulto, l’incapacità di dibattere su un tema in modo logico e consequenziale, la via aperta al bullismo e ai discorsi di odio e, soprattutto, l’apprezzamento che sembrano riscuotere queste cose: non è tanto il male del tanghero che posta in rete video razzisti, violenti o sessisti, il vero problema sono i «like» o i download che ricevono. E tutti che si sentono esperti su tutto e l’idea di partecipazione, di per sé lodevole, che diviene autorizzazione a riversare ciò che passa per la testa come verbo divino.
Allora forse le vergini sagge saranno anche un po’ antipatiche, ma quelle stolte sono pericolose. E infatti vengono chiamate così dalla Scrittura, stolte e non cattive. Ma spesso la stupidità è più pericolosa della cattiveria. Se c’è una consolazione, in questo brano, è che tutte le vergini, comprese le sagge, si addormentano nell’attesa dello sposo (anche se il brano si conclude esortando alla veglia). In fondo, a ben vedere, anche loro hanno fatto l’esperienza della fatica di un cammino sapienziale intessuto nelle fibre dell’umano, che non è facile per nessuno e non si trova raccolto in nessun manuale, le riporta in una dimensione più vicina alla nostra, nella quale anche noi possiamo, alla fine, riconoscerci.
*Cappellano del carcere di Prato