Le scelte «inopportune» dettate dallo Spirito
Il brano evangelico di questa domenica (Gv 14,23-29) appartiene alla serie dei discorsi di Gesù che l’evangelista colloca immediatamente dopo la narrazione della Cena coi discepoli e prima dell’arresto che apre il grande capitolo della Passione. Una sorta, quindi di testamento spirituale che è comunque rivolto già al futuro.
E infatti, giustamente, questi brani vengono letti nel tempo pasquale, perché solo nell’ottica della Pasqua possono essere pienamente compresi. Più che di un testamento, solitamente rivolto al passato, un tentativo di sfuggire alla distruzione della morte con un lascito a chi rimane, si tratta di un vero e proprio piano di azione, l’imbastito di un cammino che dovrà dipanarsi come frutto del mistero pasquale.
Ecco perché non c’è motivo di essere tristi. Sembra quasi inconcepibile quell’affermazione di Gesù: «Se mi amaste, vi rallegrereste…» (v. 28), spesso la nostra concezione dell’amore è all’esatto opposto. Non vorremmo mai lasciare chi amiamo, tantomeno essere lasciati; forse a volte ne capiamo la necessità per qualche ragione, ma non ce lo auguriamo. Qui c’è invece da rallegrarsi! È l’allegria di chi vive con l’amato un rapporto di libertà interiore, di una vicinanza che non significa possesso. Significa imparare da Cristo stesso che lascia lo Spirito a ricordare, ma anche ad insegnare, e perfino a fare di più (cfr. Gv 14,12) Anche il Cristo della Pasqua rimane «colui che serve» (cfr. Lc 22,27), non invade il cosmo e le vite con la sua prorompenza. Lascia allo Spirito, alla dialettica con la sua Chiesa il compito di «fare cammino» nella storia, con tutta la fatica che ne consegue.
Sarà un scelta non da poco quella della prima chiesa, di distaccasi da una tradizione consolidata come la legge mosaica per battere altre strade (At 15, 22-29, 2a lettura). Forse oggi non ne capiamo immediatamente la portata ma fu una scelta epocale gravida di conseguenze, un’attenzione alla voce dello Spirito che aprì la chiesa a orizzonti inaspettati e di sicuro non senza scossoni e difficoltà.
Cosa avrà pesato in questa scelta? Studi a tavolino di qualche analista? Ricerche sulle tendenze sociopolitiche? Oppure una luce gentile e mite, ma con una potenza incomparabile che la Scrittura chiama «Paraclito»? È questa luce che alle volte fa fare alla Chiesa scelte apparentemente inopportune ma che si rivelano profetiche nel lungo periodo. Pare che qualcuno avesse giudicato inopportuna la scelta di Giovanni XXIII di un nuovo Concilio (speriamo solo che non ci sia chi lo pensi ancora); se non inopportuno, francamente inaspettato anche l’arrivo di papa Francesco e i suoi richiami alla misericordia, alla povertà, alla semplicità, che possiamo giudicare fuori moda, un po’ «vintage» rispetto al pessimismo cosmico imperante in questo inizio del terzo millennio. Oppure vederli come un segno che la Chiesa deve sempre rimettersi in ascolto di questa luce gentile, che non ci garantisce di capire tutto ma solo quello che è il cammino di oggi, il «pane quotidiano» di una speranza che sa guardare oltre ogni paura.
*Cappellano del carcere di Prato