Le parabole: Dio si racconta così
1. Dio come racconta la sua regalità, vale a dire la sua verità di custode del diritto, della giustizia, della pace e della vita a partire dai senza diritto, giustizia, pace e vita? In altri termini Dio come regna? Il suo modo di regnare lo narra nel suo inviato Gesù, l’annunciatore, il testimone e il seminatore in ogni coscienza di questa premura divina per il mondo nel patire. Un raccontare nella mitezza, nell’umiltà, nella franchezza, nella benevolenza, nella piccolezza e nel nascondimento. Questo ci dicono le parabole di oggi.
2. La parabola del grano e della zizzania (Mt 13,24-30) risponde a due domande degli interlocutori di Gesù: se il seminatore ha seminato grano, la parola del regno della parabola precedente, «da dove viene la zizzania», una sorta di gramigna che la tradizione rabbinica denomina grano imbastardito; e che atteggiamento assumere dinanzi ad essa: «Vuoi che andiamo a raccoglierla?».
La domanda da sempre accompagna il cammino dell’uomo alle prese con l’origine del male, «da dove?», e a Gesù sembra oziosa come suggerisce la sua veloce risposta: è opera del «nemico» del seminatore, un’opera notturna, tenebrosa. Il problema del male più che disquisizioni teoriche domanda risposte pratiche, atteggiamento appunto. Di certo non quello proposto dagli interlocutori di Gesù, l’ andare a sradicare chi fa il male, non è questo ciò che il seminatore vuole e in lui Dio suo Padre. Un Dio che invia il Figlio a un mondo che è insieme grano e zizzania, bene e male, luce e tenebra, vita e morte obbedendo a questo dato di fatto, dicendo sì al principio della realtà. Un invio dettato quindi non dalla logica della separazione ma della incarnazione e neppure dalla logica della condanna ma della benevolenza, quella che fa di Gesù il grano in continua compagnia della zizzania, il mondo dei lontani da Dio, da sé stesso e dagli uomini.I n un amore (Gv 3,16) che nella pazienza attende il tempo della fioritura dell’empio a nuova creatura (Mt 5,43-48; 6,14-15; 9,9-13; 12,1-8.15-21; 18,10-35). Un Dio in Gesù davvero sorprendente nel raccontare così la sua regalità, in termini di custodia del malvagio non complice del suo male ma di lui con tutto il suo male sapendo che solo l’amore è potenza capace di convertire l’inconvertibile. Dio non vuole la morte né di quanti non hanno dato e non danno credito al suo messaggio né di coloro che eludono la logica del suo mondo, il vivere nella giustizia e nella pace mossi da una tenerezza sconfinata per gli ultimi del villaggio.
L’uomo è avvertito e invitato a non sbagliare compito nella vita, magari a nome di Dio credendo di dargli gloria, e vita sbagliata è quella del dito puntato contro gli operatori di male; quella della mano armata che li condanna, ferisce, emargina e brucia; quella che si arroga una prerogativa che è solo di Dio nei suoi angeli, il giudizio stabilito alla fine del tempo. Nella lucida consapevolezza che il tempo presente è posto esclusivamente sotto il segno della redenzione (Gv 3,17).
Una prima conclusione si impone: Dio regna non negando a nessuno la sua compagnia e a ciascuno, solari-grigi-oscuri, elargisce il dono della sua compassione che domanda traduzione attiva per gli scarti-scartati della vita. Un esistere davvero regale in una benevolenza unilaterale che da parte sua non esclude nessuno. Un messaggio per tutti di cui le Chiese faranno poi un uso domestico applicandolo alle proprie situazioni (Mt 13,36-43).
Alla parabola del grano e della zizzania fa seguito quella del granello di senapa che è una risposta al piccolo numero che ha aderito a Gesù e al suo vangelo, in crisi a motivo della propria pochezza e del vento contrario delle persecuzioni. Gesù li invita a guardare un granellino di senapa e in esso a vedere come le cose di Dio si svolgono nella storia: attraverso la piccolezza dei suoi discepoli dispersi nel campo del mondo e avversati. In essi, sparuto numero che non attira attenzioni mondane (Lc 17,20-21), il discreto sguardo d’amore di Dio sul mondo, compreso quello che lo contraddice, continua a farsi storia e di fatto ad attirare quanti nel qui e ora della vicenda umana, uomini e donne di ogni dove, sono attratti dal profumo della pace, della gioia e della giustizia che emana da essi. Vi sono granellini che a molti sono alberi di accoglienza, di riposo e di senso. Questo è il miracolo, una sorprendente novità che al contempo è evocazione del destino ultimo del mondo, la sua conversione in regno dei cieli, la perfetta armonia Dio-uomo-cosmo vinti il male e la morte. Regno che già ora nascosto nella pasta della storia, sepolto in essa, la fermenta fino alla sua piena maturazione, un’opera di trasformazione che sarà resa evidente l’ultimo giorno. Così la parabola del lievito (Mt 13,33).
3. Oggi Gesù esce dalla pagina per proclamare «cose nascoste fin dalla fondazione del mondo» (Mt 13,34) in parabole, attraverso un linguaggio che costituisce discepoli di tre grandi maestri: il grano e la zizzania, un granellino di senapa e una manciata di lievito. A voler dire: lasciate che la vostra negatività (la zizzania) e che la vostra non notorietà e fama agli occhi del mondo che conta e che si conta (il granellino di senapa) sia abitata dalla parola (il grano) e la vostra vita lieviterà (il lievito) verso inediti stili di vita. Ove inedito equivale a divenire dentro il crogiuolo della vicenda umana la parabola del come Dio si racconta in Cristo: non nella condanna, non nella ostentazione di una grandezza che paralizza la libertà altrui e non a livello di superficie ma in una benevolenza senza se e senza ma, capace di trasformare a sua immagine e somiglianza quanti l’accolgono in sé.
Nasce così la compagnia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle di Gesù segno del sogno di Dio, il tendere a divenire perfetti come lui (Mt 5,48) mai smarrendo il volto del prossimo e del prossimo non amico e non buono, in un atteggiamento umile e mite condito di grazia, di sapienza, di amabilità, di rispetto, di pazienza, di rigorosità e di franchezza (Col 4,5-6; Fil 4,5; 1Pt 3,16; At 4,31; Mt 5,37), il suo modo di essere che contraddice alla radice ogni cultura dello sradicamento in nome di ragioni religiose, etniche, culturali, economiche e etiche. Chiese e singoli dunque come piccole oasi al contempo evento di novità, sacramento del futuro come armonia oltre male e morte e seme che lo affrettano con la preghiera e la santità della vita (1Cor 16,22; Ap 22,17-20; At 3,19-20; 2Pt 3,12).