Le difficoltà del profeta

DI GIACOMO BABINI Vescovo emerito di Grosseto5 luglio, 14ª domenica del Tempo Ordinario. Gesù per i suoi concittadini e per tanti uomini nella storia è motivo di scandalo, perché è un medico fragile e sofferente come i suoi clienti. I farisei dicono che fa i miracoli con la potenza di Belzebul. I suoi discepoli capiscono che Gesù  valorizza l’umanità, il pane, il vino, l’acqua, tutto ciò che serve per la vita. Perché gli uomini non devono diventare superuomini, ma figli innamorati delle meraviglie create dal Padre per la loro felicità. Vangelo: «Lo scandalo»Gli abitanti di Nazaret si prendono scandalo per il fatto che Gesù, compie e dice cose straordinarie che loro non possono capire. E la ragione è semplice: loro lo conoscono bene personalmente, conoscono la famiglia, il mestiere, e con quei presupposti non si fanno i miracoli e le cose straordinarie che fa Lui. Gesù non risponde a questi loro pensieri. Sa che il loro giudizio nasce non dalle cose ultime risolutive che fa il Dio di Israele fedele alla sua promessa, ma si fermano alle cose penultime, alla loro reazione immediata che è un misto di meraviglia, gelosia, ignoranza. Gesù generalizza il loro atteggiamento e fa cenno di una vicenda che spesso si verifica nella storia e si era verificato in Israele: nessuno è profeta tra la propria gente nell’ordine dei rapporti naturali.

La prima lettura ci dice con chiarezza che un inviato da Dio deve  aspettarsi queste contraddizioni  e reggere di fronte ad esse.

I Lettura: «Mandato tra gli ostili»In questa lettura Ezechiele parla di se stesso, e di quanto gli ha suggerito lo Spirito Santo. Si tratta di una singolarità  evidente della  storia ebraica, sul difficile rapporto con i profeti che coinvolge oltre Ezechiele anche  Geremia, Isaia  ed altri profeti. Devono cioè sapere i profeti che sono chiamati dal Signore per essere mandati ad un popolo difficile, ostile, dal cuore duro. In effetti questa singolarità che  si ripeterà anche nei confronti di Gesù, ci lascia  perplessi. A volte, passato il tempo, scomparse le persone, il giudizio su di loro si fa  più benevolo. Quando si parla dei morti  si parla più dei loro meriti che dei loro demeriti. Quando non c’è l’ideologia di mezzo, oppure gli interessi ereditari, la morte  smonta le animosità e  riavvicina le persone. Sono tanti i popoli che dopo la morte dei loro profeti ne riconosceranno il valore e si pentiranno di non averli ascoltati. Ma il riconoscimento postumo non è la stessa cosa che la accettazione delle persone al momento opportuno. E nel caso di Gesù  l’accanimento denigratorio dopo 20 secoli dovrebbe essere finito, mentre continua. Perché tutti i tentativi umani dovranno misurarsi con questo «sasso di inciampo» o pietra angolare senza la quale  l’edificio non è solido. II Lettura: «Quando sono debole è allora che sono forte»Nessun profeta  è stato avversato come Gesù  il quale nel momento culminante della sua vita ( la passione e morte) ha avuto tutti contro: i suoi discepoli per la paura, gli ebrei per la presunzione, i pagani per l’ignoranza e la abituale lontananza dal soprannaturale. Questa avversione di principio per  Gesù, che poi si estende nel tempo anche ai suoi seguaci è da Gesù assunta assieme a tutto il male del mondo. Il suo è un atteggiamento umano divino che non potevano avere i profeti.  Nella II Lettura S. Paolo mette in evidenza questa differenza nella quale consiste proprio la forza redentrice del Figlio, carico del male del mondo ma sempre solidale con noi e fedele al Padre  fino a meritarci il suo perdono. Da qui la espressione paolina  nel suo rapporto con le  comunità cristiane  nate dalla predicazione apostolica. «quando sono debole è allora che sono forte». Perché continuo nel tempo la dolorosa fedeltà di Gesù Redentore. L’uomo vuole i segni, le cose straordinarie e non si accorge che la cosa più straordinaria che può accadere è la conoscenza e l’amicizia di Cristo Salvatore.