Le cose rivelate ai piccoli
1. Riprende il tempo liturgico ordinario, giorni nella quotidianità che tuttavia domandano di essere vissuti in maniera straordinaria, il che accade quando ogni giorno è letto come dono da viversi nella filialità in rapporto a Dio, nella fraternità-sororità in rapporto all’altro, nella cura in rapporto al creato e nella speranza in rapporto alla morte. «Cose nascoste fin dalla fondazione del mondo» (Mt 13,35) e rivelate da Gesù ai piccoli. Un Gesù, ed eccoci introdotti al vangelo di questa domenica, che « rispondendo disse». Un dire che è risposta a una precisa situazione di cui l’evangelista ha appena finito di parlare, situazione di non piena comprensione (Mt 11,11,1-6) da parte dello stesso Battista e di rifiuto da parte delle città della Galilea (Mt 11,16-24) della dolce musica portata dal suonatore di flauto che è Cristo stesso(Mt 11, 17). Uno scacco a cui Gesù risponde con un inno di lode, di ringraziamento e di riconoscimento, sa chi è colui al quale indirizza il suo canto e lo riconosce come Padre la cui benevola volontà si compiace nel manifestare ai semplici « queste cose». Siamo al cospetto di una delle pagine più alte dello scritto di Matteo, versetti che affondano nella grande tradizione sapienziale, precisamente Siracide 24 e 51, e apocalittica, precisamente Daniele 2 e 7, tradizione che Gesù raccoglie e rivive in maniera unica in prima persona.
2. Il canto di giubilo inizia con il « ringraziamento» (Mt 11, 25-26). All’ interno di un mondo in cui diffusa è l’incredulità dinanzi alle sue opere, tale da rimanerne egli stesso resta meravigliato (Mc 6,6), Gesù ha occhi per riconoscere il Padre all’opera e lo loda e lo ringrazia: « Ti benedico». Per una semplice ragione che riprende un tema antico: « È grande la misericordia di Dio: agli umili svela i suoi segreti» (Sir 3,20). Gesù nel mondo del no contempla il piccolo gregge del sì e gioisce dinanzi a questi « piccoli», i suoi discepoli (Mt 10,42) semplici e ingenui, i fanciulli nella mente e nel cuore iniziati a « queste cose», il mistero del Regno dei cieli(Mt 13,11), di un Padre in Gesù vicinissimo come non mai come amore e vita eterna. Queste creature di sale e di luce egli le vede al cuore della realtà umana e la sua benedizione sale a colui che ha reso possibile tutto questo, in sintonia con una logica mai venuta meno: la rivelazione toglie il suo velo e si manifesta a chi l’accoglie, rimane nascosta a chi volutamente si nasconde ad essa. Stà scritto infatti: « Perirà la sapienza dei sapienti e si eclisserà l’intelligenza degli intelligenti» (Is 29,14). Vi è, come canta Maria nel Magnificat (Lc 1,51), una superbia del pensiero, una vertigine, da ritenere il proprio orizzonte conoscitivo e i propri parametri interpretativi come conclusi in sé stessi, autosufficienti al punto da precludersi a ogni novità, ad esempio alla singolare lettura che Gesù dava delle sue opere rifiutata perché inedita rispetto al proprio sistema dottrinale identificato con la verità. Gesù prende atto di una sempre possibile autoesclusione dinanzi alla quale il Padre stesso si arrende, e reputa non sapienti e non intelligenti gli imprigionati nei loro schemi e teoremi, nel caso religiosi. Vi sono un sapere e un leggere dentro le « cose di Dio» mai finiti, e a questo Gesù è guida.
Il canto di giubilo prosegue poi con il «soliloquio» (Mt 11,27), versetto sulla cui genesi gli studiosi continuano ad indagare e che noi leggiamo inserendoli nell’insieme del vangelo di Matteo. Gesù riconosce d’avere ricevuto tutto dal Dio dei padri, l’annuncio della prossimità del Padre proclamato in opere e in parole con autorità unica, quella messianica (Mt 28,18); sa a chi il Padre rivela questo mistero, ai piccoli, e conosce attraverso chi lo rivela, attraverso di lui il mite e l’umile inviato ai miti e umili di cuore. Un Gesù dal rapporto unico con Padre, filiale e discepolare, è il Figlio-discepolo che riferisce ai discepoli la volontà-sapienza del Padre-maestro. Un soliloquio che si conclude in un « invito» (Mt 11,28-29). I piccoli, cioè i senza potere e i senza ruolo alcuno né religioso, né ecclesiale, né politico, né sociale e né culturale, al contrario affaticati e oppressi da tutti questi poteri e autorità, vadano a lui il costituito per essi il ristoro di Dio, il sabato di Dio. Senza paura e diffidenza alcuna perché in Gesù mite e umile di cuore è il Padre stesso a farsi vicino in mitezza e umiltà, cioè in nonviolenza, senza alzare la voce e senza nulla rivendicare per sé, e in non imposizione e sovraesposizione di sè ma ad altezza degli ultimi della terra null’ altro desiderando che essere ad essi un sicuro luogo di riposo. E questo tramite un giogo che equivale a un carico dolce e leggero; immagine, questa del giogo, nota al Testamento antico di giorni (Ger 2,20; 5,5; Os 10,11) e che nel giudaismo designa la Legge (Sir 6,24-30; 51,26-27), esperimentata come gioia (Sir 51,26 27). Legge e profeti da Gesù portati a compimento (Mt5,17), compreso il compimento della gioia data da un essere rivestiti dentro e fuori dal Discorso della montagna.
3. Alla luce di questa splendida pagina vivere in maniera straordinaria la quotidianità equivale ad attraversare il mondo delle «cose forti», il potere delle armi-del mercato-del terrore-della notorietà-della sovraesposizione ecclesiocentrica, da fanciulli dediti alle «cose nascoste» rivelate dal Padre di Gesù in Gesù, il Messia che cavalca un’asina e non il destriero dei ricchi e dei potenti. La novità non è mai figlia della esibizione della forza ma di una vita che in mitezza e umiltà cavalca il dolce peso dell’amore e il dolce carico della resurrezione. Nell’allegrezza e nel ringraziamento perché queste cose già accadono, consegnate a occhi bambini che in ogni piazza della terra ballano dinanzi a questa sinfonia divina suonata da Cristo.