Lazzaro, recuperato dalla morte alla vita
Si conclude questa domenica quella sorta di «trilogia battesimale» tipica del ciclo A che ci ha accompagnato anche nelle due scorse settimane. Il tema della vita che trionfa sulla morte è centrale in questa liturgia, tema già annunciato dal profeta Ezechiele (Ez 37, 12-14; 1a lettura) e ribadito da Gesù Cristo nel contesto del miracolo della resurrezione dell’amico Lazzaro (Gv 11, 1-45): «Io sono la resurrezione e la vita». In realtà non tutto è così lineare e forse merita soffermarsi su alcuni aspetti che rendono singolare questo brano e lo contornano con qualche ombra.
Se confrontiamo questo episodio con altri analoghi come la resurrezione del fanciullo di Nain (Lc 7, 11-15) o il risveglio della figlia di Giairo (Lc 8, 51-55), sembra quasi di percepire un sospiro di sollievo: la morte è stata ricacciata indietro, il pericolo è scampato, si apre la vita di fronte a questi due ragazzi, tempo per crescere, progettare, amare. Non è così per Lazzaro, il contesto è estremamente drammatico, la soglia della morte è stata ormai varcata da quattro giorni, è inquietante l’apparizione di Lazzaro sulla soglia della tomba ancora avvolto da bende che sembra non vogliano lasciarlo andare, e, soprattutto, la conseguenza di questo miracolo: non l’apertura di una vita (come nel caso dei due fanciulli sopra ricordati) ma la decisione di uccidere Gesù (cf. Gv 11,53) e lo stesso Lazzaro (cf. Gv 12,10) da parte dei capi Giudei.
Da questo punto di vista il miracolo non ha respinto indietro la morte ma per certi versi l’ha aizzata. Marta avrebbe desiderato scampare il pericolo: «se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto…», adesso il miracolo, realtà ben più grande, apre a una situazione forse più drammatica. Anche alcuni recenti romanzi hanno provato a immaginare la difficoltà di un uomo che torna in un mondo che non gli appartiene più, che non possiede gli strumenti per comunicare la propria esperienza perché non esistono parole comprensibili per chi vive ancora in questo mondo, ed è perciò condannato alla solitudine e alla nostalgia più profonda.
Non sappiamo se questa sia stata l’esperienza di Lazzaro ma non è così improbabile. Questo episodio lascia comunque un senso di incompiutezza: il ritorno dalle tenebre della morte segna il ritorno in un mondo comunque segnato dalla morte, all’interno di una bolla che non si è infranta. Solo Cristo, nella Pasqua, compirà questo passaggio: non una rianimazione, ma l’inizio di una vita nuova. La morte non sarà semplicemente respinta, ma svuotata, allora il suo ritorno sarà nel segno della pace che procede dallo Spirito (Cf. Gv 20, 21-22).
In questo senso l’episodio di Lazzaro (illuminato dalla luce pasquale) può davvero essere tipo della vita battesimale, poiché il battezzato non sperimenta la rimozione della morte ma l’invio in un mondo di morte con la forza dello Spirito, «come vivi tornati dai morti» (cf. Rm 6,13) secondo l’affermazione di Paolo. Può rimanere la nostalgia della vita piena, del regno, dell’essere con Cristo, unita alla responsabilità nei confronti dei fratelli (cf. Fil 1,22-25). Potremo a volte sperimentare come dono inaspettato il respingimento della morte ma anche essere umanamente coscienti del nostro limite e fragilità e ciononostante credere alla fecondità del seme che muore, dire contemporaneamente il nostro sì a sorella morte e credere in colui che è il primo, l’ultimo e il vivente (cf. Ap 1,17). Perfino credere che nella morte, e proprio perché si muore, sperimentiamo l’incontro con colui che è la resurrezione e la vita.
*Cappellano del carcere di Prato