L’atteggiamento del servo giusto

Letture del 19 ottobre, 29ª domenica del Tempo Ordinario: «Il giusto mio servo giustificherà molti» (Is 53,2.3.10-11); «Donaci, Signore, la tua grazia: in te speriamo» (Salmo 32); «Accostiamoci con fiducia al trono della grazia» (Eb 4,14-16); «Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,35-45)DI ICILIO ROSSIUn recente commento sul tema del servizio ci ha portato a riflettere proprio su queste pagine sulla dimensione personale e sull’impegno del singolo cristiano ad essere, come lo è stato Gesù, l’ultimo e il servo di tutti. L’insistenza quanto mai opportuna della Parola di Dio su questo punto, ci apre alla riflessione allargata alla Chiesa nella quale, a volte, ha creato problemi la tentazione di trasformare l’autorità in potere, l’autorevolezza in autoritarismo. I primi posti hanno costituito poli di attrazione per i quali ci si è addossati affanni e fatiche per non parlare poi di prolungati, trionfalistici discorsi. L’atteggiamento di Gesù che «si è addossato le iniquità di molti per la loro salvezza» e non per altri scopi, è radicalmente diverso. C’è, e non può non esserci, una constatazione per cui la Chiesa, santa e peccatrice insieme, per essere fedele al suo Fondatore, deve fare un’enorme fatica per mantenersi immune dai fini accessori, personali che non riguardano la gloria di Dio e la salvezza degli uomini. Certo, in una civiltà in cui quasi tutto è spettacolo, la tentazione che anche la Chiesa diventi esteriorità e spettacolo è tutt’altro che ipotetica! Giova ricordare che la fecondità della Chiesa sta nell’annullamento che fu di Cristo, bene espresso nell’immagine del grano che porta frutto solo se marcisce sotto terra.

La Chiesa: impresa in perdita. Il Concilio Vaticano II ha corretto la vecchia definizione e la Chiesa non risulta più «società dei veri Cristiani». È la teologia e non solo che motiva tale cambiamento. Infatti in tutte le società esiste un duplice statuto che da una parte tende all’autoconservazione, dall’altra si prefigge di assolvere i compiti della fondazione stessa. «Donaci Signore la tua grazia: in Te speriamo»! (SI. 32) È richiamo alla infinita, misericordiosa presenza di Cristo, ma anche una professione di fiducia piena in Lui. La gloria di Dio è la ragione della missione di Cristo che si attua nella giustificazione di molti che sono tutti. È mettendoci in questa logica che comprendiamo l’istituzione della Chiesa, per entrare nell’autenticità di un servizio da rendere alla salvezza. Infatti è la fedeltà a tutto questo che definisce la mansione della Chiesa che siamo noi, Sacramento di Cristo, destinati non ad avere un fine proprio ma piuttosto quello della salvezza degli altri. «Chi vuole essere il più grande si farà servitore».

Tutte le volte che diciamo il Credo e diciamo «morì e fu sepolto», riconosciamo che Cristo ha patito: è proprio in questa «passibilità», diventata passione di salvezza, il dinamismo prorompente di vita che è la sua Chiesa. Ora senza martirio, non c’è santità, senza l’uniformazione a Cristo crocifisso, non ci trasformeremo mai in «pietre vive», tenendo presente che le pietre fondamentali di un edificio sono quelle che non vede nessuno, condannate ad una perenne sepoltura.

L’occhio del Signore è su chi spera nella sua grazia. È la proclamazione di adorazione e di supplica e così la fede coincide con l’umiltà. Questa infatti è liberazione dalla schiavitù dell’orgoglio, di quell’autonomia che non sa e non può accogliere il dono di Dio. La parola del fariseo e del pubblicano ci convince come la cecità della superbia del fariseo rende anche la preghiera un puro e falso esercizio verbale. Più sapremo scegliere gli ultimi posti e più ci sentiremo vicini a Lui: «Amico, vieni su, accanto a me»!

D’altra parte solo l’umiltà unita alla carità, diventa servizio perché come posso essere servo di tutti, se non sono umile? S. Paolo ci offre lezioni importantissime su questo punto, quando, sollecitando all’amore scambievole, esorta a «gareggiare nello stimarci a vicenda» quasi a dire: volete gareggiare? Ebbene siate i primi a stimare gli altri. Perciò se voglio essere il primo, lo sarò però solo sciogliendo l’ultimo posto. In questa, tra le più difficili posizioni da assumere, ci conforta lo stesso Paolo, quasi a concludere questa nostra riflessione: «accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia».