L’atteggiamento del servo giusto
La Chiesa: impresa in perdita. Il Concilio Vaticano II ha corretto la vecchia definizione e la Chiesa non risulta più «società dei veri Cristiani». È la teologia e non solo che motiva tale cambiamento. Infatti in tutte le società esiste un duplice statuto che da una parte tende all’autoconservazione, dall’altra si prefigge di assolvere i compiti della fondazione stessa. «Donaci Signore la tua grazia: in Te speriamo»! (SI. 32) È richiamo alla infinita, misericordiosa presenza di Cristo, ma anche una professione di fiducia piena in Lui. La gloria di Dio è la ragione della missione di Cristo che si attua nella giustificazione di molti che sono tutti. È mettendoci in questa logica che comprendiamo l’istituzione della Chiesa, per entrare nell’autenticità di un servizio da rendere alla salvezza. Infatti è la fedeltà a tutto questo che definisce la mansione della Chiesa che siamo noi, Sacramento di Cristo, destinati non ad avere un fine proprio ma piuttosto quello della salvezza degli altri. «Chi vuole essere il più grande si farà servitore».
Tutte le volte che diciamo il Credo e diciamo «morì e fu sepolto», riconosciamo che Cristo ha patito: è proprio in questa «passibilità», diventata passione di salvezza, il dinamismo prorompente di vita che è la sua Chiesa. Ora senza martirio, non c’è santità, senza l’uniformazione a Cristo crocifisso, non ci trasformeremo mai in «pietre vive», tenendo presente che le pietre fondamentali di un edificio sono quelle che non vede nessuno, condannate ad una perenne sepoltura.
L’occhio del Signore è su chi spera nella sua grazia. È la proclamazione di adorazione e di supplica e così la fede coincide con l’umiltà. Questa infatti è liberazione dalla schiavitù dell’orgoglio, di quell’autonomia che non sa e non può accogliere il dono di Dio. La parola del fariseo e del pubblicano ci convince come la cecità della superbia del fariseo rende anche la preghiera un puro e falso esercizio verbale. Più sapremo scegliere gli ultimi posti e più ci sentiremo vicini a Lui: «Amico, vieni su, accanto a me»!
D’altra parte solo l’umiltà unita alla carità, diventa servizio perché come posso essere servo di tutti, se non sono umile? S. Paolo ci offre lezioni importantissime su questo punto, quando, sollecitando all’amore scambievole, esorta a «gareggiare nello stimarci a vicenda» quasi a dire: volete gareggiare? Ebbene siate i primi a stimare gli altri. Perciò se voglio essere il primo, lo sarò però solo sciogliendo l’ultimo posto. In questa, tra le più difficili posizioni da assumere, ci conforta lo stesso Paolo, quasi a concludere questa nostra riflessione: «accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia».