L’Ascensione ci mostra la divinità di Gesù

L’ascensione ci mostrala divinità di gesù Letture di domenica 8 maggio, Ascensione: «Una nube lo sottrasse al loro sguardo» (At 1,1-11); «Ascende il Signore tra canti di gioia» (Salmo 46); «Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di Lui» (Ef. 1,17-23); «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,16-20)DI PIERDANTE GIORDANOLa Comunità cristiana prolunga la propria festa per celebrare l’evento della Risurrezione di Gesù e ne approfondisce il contenuto dottrinale. Sarà così anche domenica prossima. Pasqua, Ascensione, Pentecoste non sono avvenimenti separati e in successione. Sono l’unico evento «pasquale» di Dio all’interno della storia umana attraverso Gesù di Nazareth, riconosciuto «Signore». È il mistero della risurrezione di Gesù, accolto e compreso nei suoi «effetti». Nella celebrazione della comunità, i testi liturgici non ci aiutano ad approfondire il mistero dell’evento celebrato. Ci aiutano a collocarlo storicamente nell’avventura umana di Gesù e della comunità che gli è cresciuta attorno. È piuttosto la riflessione teologica della comunità stessa che, nel corso degli anni, ha scavato nell’evento per comprenderne meglio il significato profondo e straordinario che ha avuto nel definire il mistero stesso di Gesù e le conseguenze che questo mistero rilanciava alla comunità che è nata dalla sua missione. In questa premessa trova ragione l’invito di Paolo (seconda lettura) a sentirci guidati dallo «spirito di sapienza e di rivelazione» per capire meglio ciò che la Liturgia ci invita a solennizzare. Concentriamoci sull’evento «ascensione al cielo» di Gesù. Paradossalmente il Vangelo di oggi (Mt 28,16-20), che è la conclusione del documento sulla vicenda di Gesù lasciatoci da Matteo, non parla di «ascensione» di Gesù al cielo. La Liturgia ha inserito il brano per la forte affinità con le conclusioni dei vangeli di Marco (16,19), di Luca (24,51) e la citazione in «Atti» (1,2). Ma è quanto basta per capire un aspetto essenziale del mistero di Gesù che i suoi discepoli hanno riconosciuto a seguito della Sua risurrezione e che ci consegnano come un contenuto forte e fondamentale della fede in Gesù. L’evento materiale di una «ascensione» di Gesù nell’atmosfera terrestre ha oggi scarso interesse. Ci conquista la forza del linguaggio simbolico che i narratori utilizzano per coinvolgerci nella consapevolezza acquisita dai discepoli di Gesù. I simboli teofanici usati dagli scrittori (monte, cielo, nube, angeli), legati alle espressioni con cui Gesù dichiara il suo «potere» ed esprime il «mandato» ai discepoli, suonano come una convinta confessione di fede: Gesù di Nazareth, grazie alla sua Risurrezione, è «il Signore». «Ascendere al cielo» e (come proclamiamo nel Credo) «stare alla destra di Dio» equivale a riconoscere che Gesù nella sua umanità, segnata dall’evento della risurrezione, è «integrato» in Dio, è uguale a Dio, è Dio. L’identità di Gesù con la divinità (Gesù è Dio), prima dell’evento della risurrezione, è stato lo scoglio che la gente (ma anche gli stessi discepoli di Gesù) hanno fatto fatica a superare. Con la Risurrezione di Gesù e con il dono dello Spirito Santo (di sapienza, di intelletto…) i discepoli hanno finalmente capito il mistero di cui Gesù era portatore, a cominciare dalla Sua stessa persona: Umanità e Divinità in Lui si sono rese possibili. Dire «ascensione» di Gesù, allora, non è ricordare un «evento», ma è affermare il mistero straordinario di Gesù di Nazareth, Signore della vita. Con i suoi discepoli, trasformati dalla Pasqua di Gesù, possiamo tradurre la narrazione dell’ascensione con espressioni come:• Gesù, risuscitato dalla sua morte, vive ancora e questa sua vita ha i tratti della potenza di Dio;• Gesù, nella sua umanità, è «integrato» in Dio, è pienamente partecipe della realtà stessa di Dio;• Gesù è vero uomo e vero Dio. La grande conseguenza (gli «effetti») di questa «ascensione» (che in realtà è invisibile) di Gesù è nella rinnovata comprensione della nostra umanità e della nostra Storia. Grazie all’umanità «gloriosa» di Gesù, anche la nostra umanità è proiettata al «divino»: è aperta alla pienezza e alla perfezione stessa di Dio. Credere all’Ascensione di Gesù è, quindi, rifiutare l’immagine di una umanità condannata alla rovina. È negare la propensione religiosa e culturale alla «lacrima» sulla condizione umana e sul suo futuro. È sottrarsi al pessimismo nella lettura complessiva della Storia e professare fiducia e possibilità positive sulle espressioni dell’impegno umano. È, soprattutto per il cristiano, gridare forte che questo nostro mondo, pur vulnerabile o ferito, vive già nella dimensione di Dio ed è entrato nei Suoi orizzonti infiniti. Lo ricordava Giovanni Paolo II parlando ai giovani a Denver e commentando l’Apocalisse. Diceva: «L’esito della storia è già segnato» ed è l’apertura alla Vita.