L’annuncio di Pasqua: una gioia esigente
Nella celebrazione liturgica della Pasqua del Signore abbiamo, come ogni anno, la possibilità di ascoltare una ricca serie di brani biblici, specialmente nella Veglia, una sorta di narrazione che risponde alla domanda tradizionale che il bimbo più piccolo, nella celebrazione della Pasqua ebraica, rivolge ai familiari: «Cosa c’è di diverso in questa notte da tutte le altre notti?».
È una domanda valida anche per noi, alla quale la Chiesa risponde con il suo annuncio, nell’Exsultet: «Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte risorge vincitore dal sepolcro». Come il bimbo ebreo, così ciascuno di noi ha bisogno di un annuncio per capire qualcosa di questa notte, che non è immediatamente comprensibile, perché rimane, di per sé, notte. Ed è anche una caratteristica dell’esperienza dei discepoli, come ascoltiamo nel brano evangelico della Veglia (Mc 16,1-7), questa dimensione interrogativa, questi segnali che pongono domande, lasciano perplessità da chiarire, a volte con una certa fatica. Le donne vanno al sepolcro in una luce incerta, vedono il personaggio misterioso, hanno paura… Anche l’annuncio della resurrezione rimanda a qualcos’altro, cose da fare, persone da contattare, cammini da iniziare… non ha una dimensione risolutiva, come la spiegazione di un enigma che riposa in se stessa lasciando la soddisfazione per un problema risolto che lascia liberi di passare ad altro.
L’annuncio della Pasqua è certo un annuncio di gioia, ma di una gioia esigente, che scuote ogni stabilità: non solo quella degli oppositori di Cristo che pensavano, letteralmente, di averci messo una pietra sopra, che invece verrà ribaltata; anche i discepoli, occupati a elaborare il loro lutto nel tentativo di ritrovare un equilibrio sono di nuovo destabilizzati. Non è solo un sospiro di sollievo per una tragedia scampata, è l’impegno ad imbarcarsi in un cammino entusiasmante e pericoloso, che li porterà innanzitutto a ripercorrere personalmente il cammino della croce, anche se nella luce e nella forza dello Spirito. Questo aspetto, così poco maneggevole, della Pasqua può consentire anche a noi, oggi, di viverla in un modo che non sia puramente trionfalistico, come se fosse la risoluzione «tout court» di ogni problema.
Viviamo in un mondo che vive situazioni «notturne» estremamente gravi: come annunciare la vittoria di Cristo sullo sfondo delle vittime dei bombardamenti in Siria, sui civili venduti come merce di scambio per i disegni di potenza di dittatori e tirannelli, nell’assordante silenzio di convenienza delle democrazie, cosiddette, evolute? Come annunciare la resurrezione in un mondo che si è stancato, forse anche a ragione, delle grandi narrazioni e che si contenta di navigare a vista, capitalizzando il proprio piccolo interesse nel breve periodo, e giocandosi totalmente in esso, nella logica del tanto peggio tanto meglio? La Pasqua è uno schiaffo ai nostri lutti, alla tentazione di vivere nel ricordo della perdita, nella mitizzazione di tempi aurei mai esistiti. Il Cristo della Pasqua è il reduce da un viaggio agli inferi, dall’esplorazione del lato più oscuro dell’uomo e del cosmo, per dire, come nella celebre «Omelia sul Sabato santo» della tradizione patristica: «uscite, fuori di qui!».
Il Cristo ormai sarà sempre altrove, in Galilea o altro luogo, perché il senso del mondo sta ormai ovunque, ed è la notte, che pur permane, con i suoi incubi e i suoi scherani, a non aver più posto né futuro.
*Cappellano del carcere di Prato