L’annuncio a Giuseppe: appartenenza a un popolo
Questa quarta Domenica di Avvento è abitata dalla figura di Giuseppe, uomo giusto, dalla sua sponsalità e paternità; accanto a lui Maria, la fidanzata, già madre, tra loro lo Spirito Santo autore della nascita di Gesù. Il brano del Vangelo inizia ex abrupto con due dissonanze rispetto ai versetti precedenti; in essi per 39 volte risuona il verbo “generò” attribuito agli uomini, ma l’elenco prosegue e conclude: “Maria dalla quale fu generato”.
Una doppia dissonanza: un verbo al passivo, che suggerisce un’azione divina, e una donna, Maria, invece dei capifamiglia. Giuseppe ha un ruolo imprescindibile: Giuseppe è padre, e come padre è modello di una paternità nello Spirito: è per lui che Gesù è inserito nella discendenza davidica ed è lui a imporgli il Nome, è per lui che la verginità della madre è rispettata (messa a distanza) e poi custodita come tesoro prezioso, è da lui che la sacra famiglia viene guidata. Egli per primo compie il triplice munus di governare (guida la famiglia) santificare (obbedisce all’angelo sposando la vergine) e permette che si compia la profezia di Isaia.
Il Nome collega la persona a una discendenza, a una storia, a un popolo. L’annuncio a Giuseppe inserisce legittimamente Gesù nella discendenza di Davide, l’annuncio a Maria lo rivela come generato da Spirito Santo. Possiamo imparare qualcosa, noi figli dell’individualismo moderno, nomadi in permanente crisi di identità: l’identità è data dal riconoscimento entro la storia di un popolo.