L’amore, architrave che sostiene la fede

27 ottobre, 30ª domenica del Tempo Ordinario: «Se maltratterete la vedova e l’orfano la mia collera si accenderà contro di voi» (Es 22,21-27); «Ti amo, Signore, mia forza» (Salmo 17); «Vi siete convertiti, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio» (1 Ts 1,5-10); «Amerai il Signore Dio tuo e il prossimo come te stesso» (Mt 22,34-40)

DI SILVANO PIOVANELLIL’Apostolo Paolo, scrivendo alla comunità di Tessalonica, indica con chiarezza l’impegno di ogni comunità: diventare «modello di tutti i credenti» e far riecheggiare dappertutto la parola del Signore accogliendo la Parola con la gioia dello Spirito Santo. I Tessalonicesi hanno seguito l’insegnamento dell’Apostolo, il quale ha sottolineato come nessun altro l’indivisibilità dell’amore di Dio e del prossimo. Anzi, (come scrive Marcel Devis ne «L’uomo di Dio» Borla 1959) «ciò che è più ammirevole in San Paolo è che nelle sue gioie, nelle sue pene, nei suoi affetti, invano cerchereste la minima traccia di falsa spiritualità. La sua carità soprannaturale non trova alcuna difficoltà a servirsi del suo cuore di carne. Egli ama i suoi fedeli, si allieta delle loro gioie e dei loro progressi, soffre delle loro pene e delle loro deficienze: Non si domanda mai di che amore egli li ami, perché il suo cuore è indivisibile. I suoi fedeli sono la sua gloria e non gli passa per la mente neanche per un istante che la sua gioia possa urtarsi con la gloria di Dio; si prova l’impressione che per lui si tratti di una sola cosa. In lui l’amore di Cristo ha reso tutto semplice ed ha risolto i miserabili problemi di frontiera, da cui noi siamo sempre tormentati».

L’apostolo Paolo ha imparato bene la lezione del Maestro. L’innato desiderio di classificazione proprio del giurista e del rabbino aveva estratto dalla Bibbia ben 613 precetti sulla cui gerarchia i dottori della Legge non finivano mai di discutere. «Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». La domanda dei farisei vuol mettere alla prova Gesù. Ma egli, che non vuole intavolare inutili discussioni, si limita a citare i due comandamenti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo. Tuttavia non può fare a meno di aggiungere un commento: «da questi due comandamenti dipende tutta le legge e i profeti». Egli non vuole tanto presentare due comandamenti primari, quanto piuttosto offrire la prospettiva di fondo con cui vivere la Legge intera. L’amore è la chiave di volta di tutta la legge e i profeti. Toglietelo e tutto l’edificio crolla. L’amore è l’architrave che ricapitola e sostiene tutto l’agire cristiano.

Questa impostazione – semplice ed essenziale tanto che S.Agostino dirà: «Ama e fa’ ciò che vuoi» – è ottenuta sommando due testi dell’Antico Testamento: «Amerai il Signore tuo Dio» del Deuteronomio e «amerai il prossimo tuo come te stesso» del Libro del Levitico. La connessione è ardita. Il comandamento dell’amore di Dio sta al primo posto, ma «il secondo è simile», cioè, anche se non è identico, è necessario quanto il primo. Così Gesù ha costruito la struttura di fondo dell’etica cristiana. «Né una qualche norma particolare ha valore senza l’amore del prossimo, né questo ha la precedenza dinanzi all’amore di Dio» (Balthasar).

S.Agostino è chiarissimo: «L’amore non può essere diviso. Scegli pure ciò che vuoi amare: il resto seguirà da sé…Che nessuno cerchi di sottrarsi all’amore in nome di un altro amore, perché l’amore abbraccia tutto». Il santo Vescovo d’Ippona ha scritto queste parole nel suo commento alla prima lettera di S.Giovanni (X,3), dove tu leggi: «Se uno dicesse: “Io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede».

Proprio questo anticipa e conferma la prima lettura della liturgia odierna: una pagina di quel complesso legislativo, che è chiamato convenzionalmente «Codice dell’Alleanza»: Dio ha dimostrato agli ebrei, che erano stranieri, un amore come a creature sue proprie, e in questo ricordo Israele deve con altrettanto amore trattare gli stranieri, i poveri, le vedove e gli orfani. «Chi opprime il debole – recita il libro dei Proverbi – oltraggia colui che l’ha fatto». Questo testo antico del «libro del Patto» di Israele anticipa il testo del Nuovo Testamento: «Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatto a me».