L’amministratore capace di vedere la realtà
Il brano evangelico di oggi (Lc 16, 1-13) può suscitare in noi alcune perplessità: l’amministratore disonesto cerca di salvare la sua vita, attraverso la falsificazione di alcuni documenti di debito. Non sembra proprio un esempio da seguire, poiché viene accusato di compiere delle irregolarità, ed egli prosegue in questa truffa cercando in questo modo di farsi nuovi amici che lo accolgano una volta licenziato.
Viene da domandarsi che razza di amicizia sia questa, se non un rapporto clientelare, o peggio ancora di complicità in un reato.
Forse può darsi che gli sconti fatti ai debitori siano tolti dalla propria provvigione, ma non tutti sono d’accordo su questo. In ogni caso non si capisce perché il padrone alla fine lodi l’amministratore, visto che nel migliore di casi non guadagna niente, o addirittura perde ancora denaro.
Vi è una condizione che potrebbe rendere plausibile tutto questo racconto senza incorrere in questa e altre contraddizioni: se lo leggiamo solo come una esortazione morale all’utilizzo dei beni, esse sono più evidenti, ma se lo leggiamo come una narrazione di una realtà possibile, allora le cose cambiano. Per esempio potremmo pensare che il protagonista non sia l’amministratore, bensì il padrone, l’uomo ricco, e che lo scopo di quest’ultimo non sia semplicemente il profitto, ma la crescita personale del suo dipendente. Potremmo pensare che lo stratagemma escogitato da quest’ultimo sia in realtà quello che il padrone voleva, il punto di arrivo al quale voleva condurre l’amministratore.
Questi può richiamare, a mio parere, l’uomo nella sua condizione di creatura, posto da Dio nel mondo come «economo» perché lo coltivi e lo custodisca (cfr. Gen 2,15), un uomo molto vicino alla figura biblica dell’Adamo che fallisce nella sua missione (vedi il richiamo alla zappa, che ricorda la fatica cui è condannato dopo la sua caduta (cfr. Gen 3,17), e anche la vergogna (cfr. Gen 3,7), sentimento che lo accompagna fin dalle origini). Anche il richiamo alla scaltrezza sul finale del brano può rimandare a quella del serpente della Genesi, «la più astuta fra tutte le bestie» (Gen 3,1). Vi è però una differenza importante: nel brano evangelico la scaltrezza non ha solo un’accezione negativa. L’amministratore è uno che è capace di vedere la realtà, a differenza dell’Adamo che si nasconde alla vista di Dio e nasconde la propria nudità con le proverbiali foglie di fico.
L’amministratore «non ha forza», e questo è un primo passo di verità sulla propria vita. Egli cerca qualcuno che «lo accolga nella propria casa», in un movimento di ritorno al centro, imperfetto finché si vuole ma di segno opposto alla divisione presente nelle prime pagine della Scrittura, con le accuse reciproche fra uomo, donna e serpente. Anche nei versetti che commentano la parabola si parla di «procurarsi amici… che vi accolgano nelle dimore eterne» (v. 9). Non è solo «fare la carità per andare in Paradiso» ma avere chiara la dimensione «pellegrinante» della vita come cammino verso il Regno nella compagnia degli uomini, riconoscersi creature fragili e contraddittorie ma proprio per questo invitate all’incontro con colui che è la sorgente della vita.
*Cappellano del carcere di Prato