La verità sul Messia

Il Vangelo di Marco, teso fra una oscurità iniziale («I suoi uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: è fuori di sé» – «gli scribi che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: Costui è posseduto da Beelzebùl», Mc 3,21-22)  e una luce finale chiarissima («il centurione disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio”», Mc 15,39) ha in questo capitolo il suo punto di forza.                 

La scena  avviene verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo, non lontano dalle frontiere del giudaismo.

Gesù  che è sempre in cammino interpella i suoi discepoli «per la strada».  Non basta che essi prendano per buono quello che dice la gente, quel che ci trasmette una tradizione, quanto viene praticato in un determinato ambiente, perché a questa fede che è più seguire gli altri che seguire il Maestro, Gesù replica: «E voi chi dite che io sia?».

Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». Nel testo sinottico di Matteo si riporta la compiaciuta approvazione del Maestro: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli»  (Mt 16,17). Nel Vangelo di Marco, c’è la severa imposizione del silenzio.

La risposta (Tu sei il Cristo) è esatta, ma solo nella forma. Simon Pietro e sicuramente la maggior parte dei discepoli pensavano a un Cristo o Messia  come a un taumaturgo che avrebbe liberato Israele dal giogo dei Romani. Allora c’era in Israele una potente teologia della liberazione, non solo diffusa presso gli Zeloti che combattevano attivamente contro gli occupanti  romani, ma anche in mezzo al popolo e ai suoi capi.

Ecco perché, nell’istante in cui emerge il titolo di Messia, Gesù blocca immediatamente il discorso: proibisce ai discepoli di diffondere in qualsiasi modo quel titolo: impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E lui, Gesù, al contrario, per la prima volta,  parla della sorte del Figlio dell’uomo: molto dolore, riprovazione, uccisione e, dopo tre giorni, risurrezione.

Gesù faceva questo discorso apertamente. Apertamente, per vincere una mentalità diffusa e radicata, che rendeva questo discorso difficile ad accettarsi. Pietro pensava di avere le idee chiare sul Messia, tanto che prese Gesù in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma «il suo Messia»  non corrispondeva a quello del disegno di Dio. Ecco perché Gesù lo rimprovera e gli dice: «Va’ dietro a me, Satana!». Non intende allontanare Pietro da sé, ma rimetterlo sul retto cammino. 

È proprio quando si contempla un Cristo deriso, umiliato, flagellato, respinto dalla gente che conta,  che ci si apre al gioco del Signore. 

Proprio quando si cerca di far crescere una mentalità che non ha paura della debolezza, della modestia, della povertà che si promuove la causa del cristianesimo.

Alcuni dicono: mettiamo il potere a servizio del Vangelo. Vecchia inestirpabile «tentazione», così contraria al disegno di Dio che Gesù non esita a chiamare «satana» colui che ha messo a capo della sua Chiesa.  La parola è durissima, la più dura che troviamo nei Vangeli. Se Pietro che è «pietra» può diventare anche «satana», è facile cogliere l’avvertimento: la divaricazione tra il «pensare secondo Dio» e il «pensare secondo gli uomini» è una divaricazione che passa dentro di noi, nessuno ne è esente ed esige che ognuno compia la sua scelta guardando a Colui che è stato innalzato sulla croce.

*Cardinale