La vera morte da cui Gesù ci vuole salvare è il peccato
Il ramo che vuole staccarsi dall’albero, l’uomo che rifiuta di chiedere alcunché a Dio, perché può fare tutto da se stesso, questa opposizione orgogliosa ed offensiva è la morte. «Chiunque vive e crede in me non morirà in eterno». Se Dio ha creato l’uomo per una esistenza terrena limitata nel tempo, l’uomo con i suoi peccati si è messo nella condizione di non riconoscere affatto il dono della vita.
II Lettura: «Il più grande atto di carità»
«Egli, dice la seconda lettura, che era ricco, divenne per voi povero per arricchirvi con la sua povertà». La carità può essere fatta con atteggiamenti interiori diversi, addirittura opposti tra di loro: Dare qualcosa a chi tende la mano per levarselo di torno. Dare qualche euro perché si sa che sono nel bisogno pur sapendo che la nostra elemosina è una goccia nel mare dei bisogni. Dare quello che si può senza fare calcoli, ma per esprimere simpatia verso il bisognoso. Forse questa è la carità più vicina all’amore del Signore. Egli ha vinto la morte non con la Sua onnipotenza, ma scendendo nella povertà della condizione di coloro che né conoscevano né speravano nella salvezza eterna. Dall’interno della condizione nostra ha affrontato l’ignoranza, il peccato ed è diventato liberatore per tutti, facendo fiorire la conoscenza e la speranza nel Padre universale, e si è posto come la via per ritornare a Lui. Afferriamo come naufraghi la mano tesa e non la lasciamo per nessun motivo.