La trasfigurazione che annuncia la Pasqua
La seconda domenica di Quaresima, come ogni anno, ci propone il brano della trasfigurazione, stavolta nella versione di Luca (Lc 9,28-36) . Potremo domandarci il perché di questa consuetudine poiché, mentre il racconto delle tentazioni nella prima domenica sembra una scelta quasi obbligata, nell’ottica di un tempo di ascesi, di confronto con il nemico che vorrebbe spingerci lontano da Dio, non sembrerebbe così immediato il rapporto con il racconto della trasfigurazione. Questo episodio si colloca nell’avvicinarsi dell’esodo di Cristo che stava per compiersi a Gerusalemme, e si configura come una sorta di «ouverture» di questo dramma ma che, come spesso accade nei componimenti musicali, anticipa un tema che verrà ripreso in modo pieno e solenne nella conclusione: la luce della Pasqua è già in qualche modo annunciata, anche se dovrà realizzarsi tutto il faticoso percorso della passione. Ma oltre a questo riferimento ve n’è uno più diretto alla nostra vita di credenti; infatti, a differenza delle tentazioni, vi è anche la presenza dei discepoli che ne sono testimoni, un’esperienza, almeno in teoria, illuminante e fortificante, ma in realtà ben più problematica e contraddittoria.
Si tratta di un momento forte, di contatto col divino, e infatti vi sono gli elementi presenti anche in racconti similari riguardanti l’intervento di Dio: nella prima lettura (Gen 15,5-18) abbiamo l’oscurità, il torpore di Abramo, il terrore che lo assale; nel Vangelo il sonno, la nube oscura che intimorisce i discepoli, vi sono richiami al torpore che assale Adamo al momento della creazione della donna (che non ha la funzione di «anestesia» ma dice ancora una volta la grandezza dell’azione di Dio che l’uomo non può contemplare senza esserne in qualche modo scioccato – cf.Gen 2,21-), ma anche la paura di Mosè che si vela il volto per non guardare verso il roveto ardente (cf. Es 3,6), e in fondo il sonno dei discepoli nel Getsemani (cf. Mt 26,43) non dirà tutta la loro incapacità di porsi di fronte a un mistero che li sovrasta e li paralizza? Ecco, se la prima domenica di Quaresima ci mette di fronte a una situazione di conflitto con un nemico che si adopera per farci inciampare, qui il discorso si fa più complesso: Dio stesso non è affatto facile da avvicinare, né è così semplice e lineare schierarsi al suo fianco, in modo militante, per la vittoria del bene (anche se Paolo inviterà a indossare le armi di Dio, la corazza dello Spirito, per spegnere i dardi del maligno – cf. Ef 6,13-17).
Ma la Bibbia è sempre sorprendente e non si presta a diventare un semplice manuale per demagoghi religiosi, ci dice che è necessario maturare un profondo rapporto con Dio, che mette in questione tutte le nostre certezze: Dio è luce, ma per i nostri occhi limitati la troppa luce può farci l’effetto opposto, può impaurire, rendere perplessi, vaneggiare come Pietro che non sa quel che dice. Un aspetto controverso è proprio questo: che qui si annuncia e si manifesta la luce divina che promana da Cristo, così come la parola del Padre che approva e lo raccomanda come suo inviato, eppure questa luce si spegnerà sulla croce, la sua parola si spegnerà nel silenzio della «consegna dello Spirito» (cf. Gv 19,30), il Padre che qui presenta il Figlio diverrà assente nell’esperienza dell’abbandono. Così l’attesa della trasfigurazione del nostro corpo (Fil 3,17-4,1) si incontra con la fatica del credere giorno per giorno, attesa e fatica che è parte integrante del cammino verso un rapporto autentico e vitale con il Padre.
*Cappellano del carcere di Prato