La Trasfigurazione

DI GIACOMO BABINI Vescovo emerito di Grosseto8 marzo, 2ª Domenica di Quaresima.  Diventiamo consapevoli del dono della «vita nuova» quando finalmente ci diventa evidente una verità elementare che cioè «nessuno vive per se stesso e nessuno muore per se stesso». La vita può percorrere anche un cammino di dolore, ma ci sosterrà sempre la visione di colui che assiste ed accoglie il Figlio che  muore per amore. I Lettura: «Prendi li tuo figlio, il tuo unico, che ami»Il Vangelo della Trasfigurazione è preceduto come prima lettura da quella del sacrificio di Abramo poiché la Trasfigurazione del Signore sarà la dimostrazione da parte del Padre di che cosa sia in verità il suo «Figlio diletto» che egli farà «immolare» davanti agli uomini e per essi. Abramo ha ottenuto il figlio che desiderava per prolungare la propria discendenza. Era un fatto capitale per un tempo nel quale ancora mancava la conoscenza di un’altra vita. Ma Abramo deve rinunciare al suo desiderio. Attraverso questo sacrificio che era disposto a fare per l’autorità di Dio, ritroverà Isacco. Il figlio da quel momento non sarà più solitario frutto della sua carne, ma dono di Dio. Un dono difficile da capire, come erano difficili per gli apostoli le cose che annunziava di tanto in tanto Gesù mentre erano diretti verso Gerusalemme. Il Figlio dell’uomo sarà processato e condannato. E quando queste cose avverranno i dodici abbandoneranno Gesù. Non avevano trattenuto nel cuore la parola che consente di vedere la gloria nascosta. E così permane l’aspetto tragico e contraddittorio del presente.

L’orrendo si trova non soltanto nel comando di uccidere il proprio figlio naturale ma nel fatto che questo figlio era stato espressamente donato da Dio mediante un miracolo ed era destinato all’imitazione e all’esecuzione delle divine promesse. In questo comando Dio contraddice se stesso. E nonostante questa contraddizione che risulta incomprensibile per l’uomo, l’uomo deve obbedire perché Dio è Dio.

II Lettura: «Non ha risparmiato suo Figlio»La seconda lettura risolve l’apparente paradosso con il fatto che Dio si rivela come l’essenziale amore, che non si contraddice quando manda alla vera morte il Figlio di Dio, e precisamente così adempie la promessa di «tutto donare», cioè di conferire la vita eterna. Il massimo qui non è unilateralmente l’obbedienza dell’uomo verso un incomprensibile comando di Dio, ma è l’unità fra l’obbedienza del Figlio ad andare per tutti alla morte e la dedizione del Padre a donare a noi ogni cosa con il sacrificio del Figlio. In tal modo Dio è non solo con noi (come 1’«Ema-nuele» veterotestamentario), ma definitivamente «per noi», i suoi eletti. E in tal modo egli ci ha donato non solo qualcosa di grande, ma tutto ciò che ha ed è. Ora Dio sta a tal punto dalla nostra parte che un’accusa (giudiziaria) contro di noi perde tutta la forza. Nessuno può più accusarci davanti al tribunale di Dio; il Figlio donato da Dio è un avvocato così irresistibile che ogni umana accusa contro di noi ammutolisce. Vangelo: Un chiaro anticipo della gloria futuraDi qui si fa comprensibile nel Vangelo secondo il suo vero senso, la luce trinitaria dell’amore che irradia dal Figlio sul monte. Non è in nessun modo una luce realizzata dall’immersione in se stessi ma la verità irradiante della luce trinitaria della dedizione perfetta: si rivela ciò che il Padre in verità dà per il mondo e fa «immolare», ciò che il nuovo Isacco lascia avvenire su di sé nell’obbedienza d’amore verso il Padre, ciò che la nube luminosa «avvolgente nell’ombra» nasconde nel mistero divino. Per gli apostoli la conseguenza della loro improvvisa immissione nella atmosfera divina, è la paura ed un tentativo di balbettare qualcosa, ma infine la prostrazione di fronte alla parola e alla verità divina sul Figlio. Al ritorno della normalità terrena dopo la trasfigurazione l’avvertimento di Gesù ai fortunati tre discepoli di non banalizzare con chiacchiere quello che avevano visto, perché tutto sarebbe stato meglio comprensibile dopo la sua morte e resurrezione.