La sofferenza è una grazia

Letture del 6 aprile, 5ª domenica di Quaresima: «Concluderò un’alleanza nuova, non mi ricorderò più del peccato» (Ger 31,31-34); «Crea in me, o Dio, un cuore puro» (Salmo 50); «Imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza eterna» (Eb 5,7-9); «Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto» (Gv 12,20-33)

DI ANGELO SILEIIn questa ultima domenica di Quaresima, prima dell’ingresso nella Settimana Santa, la liturgia ci presenta una terapia davvero sconvolgente. È una terapia che nessuno vorrebbe praticare. È una terapia che anche Gesù, nel momento di assumerla, ha istintivamente respinto. È una terapia per la quale è difficile trovare un’espressione che la riassuma. Per definirla è opportuno riascoltare alcune parole di questa liturgia. Prima quella di Gesù. Egli dice che il chicco di grano porta frutto solo se muore e dichiara ancora che salverà la propria vita chi la perderà. Termina poi dicendo: Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me. E ogni cristiano che ascolta sa bene che quella elevazione è l’innalzamento doloroso sulla croce. Nelle due dichiarazioni di Gesù si annuncia un tempo umanamente oscuro, ma che non sarà una notte eterna. Si prevede una minaccia mortale, ma che non sarà la fine. La parola di Gesù ci fa penetrare attraverso il velo della prova senza girarle intorno per evitarla. Prima che essa accada, Gesù ci rivela che ciò che appare uno scandalo sarà un ponte e che l’abisso sarà un percorso verso la salvezza. C’è poi la parola della lettera agli Ebrei. Si tratta di una parola ardita, al punto che sembra quasi esterna al dogma che ci presenta sempre un Dio impassibile e immutabile per definizione, onnisciente e assolutamente perfetto. Parlando della passione del Cristo Figlio di Dio, l’autore di questa lettera afferma che egli imparò l’obbedienza dalle cose che patì e da esse fu reso perfetto. Gesù ha frequentato, o meglio ha dovuto frequentare, una scuola nella quale ha imparato e per mezzo della quale è stato perfezionato: è stata la scuola della sofferenza. Davanti ad essa, come tutti gli uomini, ha cercato di proteggersi allontanando il calice, ma poi ha accettato e vissuto tutto in silenzio. E così il chicco di grano ha portato frutto. Si è perso nella morte di croce, e per questo ha guadagnato la vita. Come possiamo chiamare questa terapia suggerita e proposta oggi a tutti dall’analisi della storia di Gesù nella sua passione e morte? Forse possiamo chiamarla terapia della sofferenza o terapia della prova. Ciò che vogliamo a tutti i costi curare perché ci sembra solo una malattia è in realtà una medicina. Quanto vogliamo a tutti i costi evitare è una opportunità. Ciò che ci sembra una disgrazia è una grazia. Quello che riteniamo un castigo è una scala per salire. Poco tempo fa, leggendo in un gruppo la prima lettera di S.Pietro, ci siamo stupiti davanti a una sua affermazione: «è una grazia di Dio soffrire ingiustamente» (2,19). Sì, proprio «una grazia di Dio». Non un incidente di percorso né tanto meno una disgrazia. Ma una opportunità, una tempo favorevole. Davanti alla nostra vita malata Dio ci propone una cura davvero nuova, la sola capace di fare uomini nuovi, di cambiare i cuori, di far rinascere. È quella che Gesù promette anche nella parabola della vite e dei tralci: la potatura di ogni tralcio. Senza questa potatura non ci sono frutti. Come senza morte nella terra il chicco di grano è sterile e solo. Ciò che ci fa paura ci fortifica. Ciò che vogliamo evitare ci fa crescere. Ciò che ci fa morire ci fa vivere. La prova rende forti. Coloro per i quali tutto è stato sempre facile non imparano a vivere e non crescono. Non si fa il bene della persona spianando tutte le strade.La celebrazione della Pasqua è promessa e annuncio di guarigione. Ma dentro la Pasqua c’è anche il Venerdì Santo. È il passaggio obbligato della liturgia, ma è anche il passaggio obbligato della vita. Ed è una terapia.