La porta stretta
Il brano evangelico di questa domenica (Lc 13, 22-30) presenta una certa singolarità. A prima vista contiene un messaggio alquanto rigorista, Gesù alla domanda su quanti sono coloro che si salvano risponde utilizzando la metafora della porta stretta e dell’inutilità dello sforzo di alcuni per entrarvi. Un messaggio non molto confortante per chi sperimenta sulla propria pelle la fatica della fedeltà quotidiana alla Parola evangelica e che, per contro, farebbe piazza pulita di quell’idea di un Cristo dalla «manica larga» che alle volte mette a disagio gli stessi credenti. In realtà questa prima impressione impatta con un’altra immagine che emerge verso la fine del brano, quella della moltitudine che arriva da tutti i punti cardinali alla festa del regno di Dio, un’immagine che si ritrova in altre pagine bibliche, dal brano di Isaia proposto oggi nella prima lettura (Is 66, 18-21), fino alla «moltitudine che nessuno poteva contare» (Ap 7,9) tratteggiata nelle ultime pagine della Bibbia.
Non sembra quindi che la «porta stretta» evocata da Cristo produca una così grande scrematura da rendere il regno un’isola di elezione in un oceano di perdizione. La Scrittura ci presenta sempre il regno di Dio come nuova creazione, corpo di Cristo cosmico, che riempie di sé tutte le cose (cf. Ef 1,10). Ancora di più, Paolo con tutte le sue forze annuncia la vacuità dello sforzo umano perfino nell’impegno di adesione alla stessa legge divina, per cui nessuna salvezza è sperabile in quella direzione, più che una porta stretta si tratta di una porta chiusa (cf. Rm 7, 14-24).
L’apparente contraddizione che emerge in questo brano evangelico è superabile solo nell’ottica della misericordia, nell’abbandono di ogni confidenza in se stessi, anche nella parte che potremmo considerare quella migliore, per volgere il nostro sguardo al Cristo, «porta delle pecore» (Gv 10,7). È un tema che è particolarmente in sintonia con questo anno santo e al quale non dobbiamo fare l’abitudine ma coglierne sempre la novità. Saremo però capaci di cogliere la grandezza di questo affresco, l’opera di Dio che tratteggia un’umanità radunata, che ha superato i confini che essa stessa si è data, noi per i quali l’incontro con l’altro, la vicinanza, lo scambio assume sempre di più i contorni di una minaccia? Il risorgere di confini, di contrapposizioni ideologiche e anche teologiche non ci porterà a confidare in «porte strette» che finiranno per isolarci e lasciare fuori proprio noi che «abbiamo mangiato e bevuto alla presenza del Signore»?
*Cappellano del carcere di Prato