La peccatrice perdonata «perché ha molto amato»

Il brano evangelico di questa domenica ci presenta l’incontro di Cristo con la donna, una peccatrice, definita così dal fariseo padrone di casa, ma anche dallo stesso evangelista, che in qualche modo ufficializza la sua condizione, non si tratta di un semplice pettegolezzo. La scena è inquadrata fra il racconto di una parabola da parte di Gesù, i due debitori condonati, con l’ovvia affermazione che fra i due sarà quello con il debito più grande a gioire maggiormente per il condono, e l’effettiva remissione del peccato della donna che spiega anche il suo comportamento, il gesto pieno di affetto e riconoscenza nei confronti del Signore.

Vi è però una incongruenza fra i due momenti, come molti commentatori sono soliti sottolineare, l’affermazione di Gesù al v. 47 «le sono perdonati i suoi molti peccati perché ha molto amato». Infatti il gesto della donna, nell’ottica della parabola, dovrebbe essere una conseguenza del perdono ricevuto, invece qui avviene prima che Gesù glielo doni. Forse il suo comportamento manifesta quell’amore che spinge Cristo a perdonarla? O addirittura il suo peccato (non è detto quale sia ma possiamo immaginarci che abbia a che fare con la sfera affettiva), potrebbe testimoniare un anelito, un desiderio di autenticità, di amore vero a un livello più profondo? Sono solo ipotesi, di fatto il brano evangelico ci pone di fronte questa incongruenza, da accogliere anch’essa come parola di Dio. Letto in questo modo il comportamento della donna esprime una sorta di ringraziamento previo, come se il perdono fosse un qualcosa di già acquisito, un dato di fatto inequivocabile. Ti ringrazio, ti adoro perché so che mi perdonerai, che mi hai già perdonato. Non aspetto che tu me lo dica perché so che tu sei qui per questo. Lo dirà Gesù stesso di sé: «non sono venuto per condannare…» (cfr. Gv 12,47).

Ma in fondo la fede non è questo? Credere, come dice Paolo nella seconda lettura, che solo da lui,  non da noi, né da alcuna Legge potrà arrivarci la salvezza. E ancora Gesù:  «quello che domandate …abbiate fede di averlo ottenuto» (Mc 11,24), di averlo già. Non si tratta di illudersi o autoconvincersi. Futuro e presente si sovrappongono perché basati sulla fedeltà e misericordia di Dio (cfr Sal 135), sulla potenza creatrice del suo perdono. In ciò che forse scandalizza molti, il Dio troppo buono, una misericordia alla portata di tutti, Egli manifesta la sua vera e propria essenza. Solo Dio sa il dramma di una vita perduta, non ha niente da rallegrarsi in questo, «non gode per la morte del peccatore» (cfr Ez 33,11); la sua grandezza non si manifesta nella divina indignazione, ma nella sua benevolenza. Egli sa che il peccatore non è il furbacchione che sotto sotto anche un credente come il salmista può invidiare (cfr Sal 72,3), ma è il disperato che è incappato nel cancro dello spirito, che solo il perdono può ricreare. La comprensione della misericordia di Dio, l’invito a far propri i sentimenti di Cristo (cfr Fil 2,5) non solo guarisce il peccatore, ma risana pure la teologia distorta del fariseo e forse la nostra, l’altezzosa sicumera che spesso ogni ortodossia porta con sé.

*Cappellano del carcere di Prato