La Pasqua vive e si espande nella vita
Nella liturgia di questa domenica vi è una forte corrispondenza fra il brano evangelico (Lc 24,35-48) e la prima lettura (At 3,13-19), come quella che intercorre fra l’affidamento di un compito e il suo svolgimento.
Le parole stesse si richiamano: Cristo parla della necessità del compimento delle Scritture, come Pietro parla del compimento dell’annuncio dei profeti; Cristo parla dell’invito alla conversione a partire da Gerusalemme, Pietro realizza questo compito rivolgendosi ai suoi ascoltatori; Cristo costituisce i discepoli quali testimoni ed essi così si presentano, quali testimoni della resurrezione.
Da questo punto di vista possiamo cogliere chiaramente questa continuità, la Pasqua vive e si espande nella vita e nell’annuncio della comunità dei discepoli. Essi per primi hanno fatto questa esperienza: non è un caso che Gesù si manifesti a loro dopo il racconto dei due di Emmaus, che hanno partecipato ai presenti la loro vicenda, quella di essere condotti da Cristo stesso alla comprensione delle Scritture, in un contesto di fraternità e di calore che ha riscaldato il loro cuore fino a far loro riconoscere il Risorto nel misterioso ospite che spezza il pane alla loro tavola.
Tutti questi elementi li ritroviamo nell’incontro con i discepoli nel vangelo di oggi, anche se, curiosamente, invertiti: Cristo si fa presente, ma solo nella condivisione di uno spuntino improvvisato i discepoli superano il loro timore di essersi imbattuti in una figura fantasmatica, inquietante, aliena.
Il mangiare insieme (non stiamo qui a disquisire se si tratti o no di una cena eucaristica, tema per specialisti) permette loro di radicarsi in una esperienza conosciuta, la vicinanza amica e fraterna del maestro, che parla il loro linguaggio, li fa sentire nuovamente parte del suo mondo, come lui è parte del loro, e da lì li conduce alla comprensione delle Scritture.
La rottura radicale che l’uomo sente con quello che, appunto, è chiamato l’aldilà, è colmata da Cristo con una presenza che li fa sentire ancora parte di un disegno che li riguarda, che la morte non ha interrotto, anzi, è stata la condizione per aprire definitivamente la strada di una comunione unica fra uomo e Dio, della quale essi sono i primi beneficiari e con il compito preciso di annunciarla come un dono rivolto ad ogni uomo.
Ecco che la predicazione diventa la partecipazione di un vissuto, per cui il cammino della Chiesa non procede per separazione ma per cooptazione, essa infatti non nasce dalla scrematura di una società corrotta, poiché i membri di essa, fondamentalmente, sono nella stessa situazione. Anche i discepoli hanno fatto esperienza di non capire, sono stati ignoranti a vario titolo, sono stati vigliacchi e traditori, perciò non sono migliori degli altri, non possono vantare alcun titolo di merito. Sono i primi beneficiari di un dono gratuito e invitati a parteciparlo ad altri, sono stati uditori di una parola, di una buona notizia da diffondere con la stessa gratuità con cui l’hanno ricevuta.
Perciò, paradossalmente, con la Pasqua la Chiesa non viene radunata ma dispersa, una dispersione che la porterà a mescolarsi come seme e lievito in questo mondo per essere testimone di una vita nuova possibile. In questo non dovrà temere niente, nulla potrà farle male tranne quello che potrà farsi da sé stessa, se e quando dimenticherà il dono ricevuto, e tradirà il suo mandato rinchiudendosi nei propri palazzi o in visuali troppo anguste.
*Cappellano del carcere di Prato