«Il Risorto condivide la sua vita potente con le nostre fragili vite» (Gaudete et Exsultate, 18)«Entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette» (Gv 20,8). E quel sepolcro era vuoto! Ecco l’esperienza rivitalizzante della Pasqua, che irrompe nell’animo sconsolato di Maria di Magdala e delle altre donne. È un’iniezione di speranza che penetra nel cuore palpitante di Pietro e di Giovanni. Infatti, «non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti» (Gv 20,9). Erano andati, con tristezza, a visitare un morto e invece ora sono dinanzi ai segni della sua resurrezione. Certamente anche nella nostra vita si sono rese visibili le piaghe di Cristo e in queste, la potenza del Risorto. A me è accaduto anche qualche giorno fa, nel pieno della pandemia. Un noto industriale della Maremma ci aveva telefonato perché voleva essere messo in contatto con il vescovo di Bergamo. Aveva sentito il suo accorato appello per tanti che stavano morendo (solo di sacerdoti ne erano morti 25). Nel cuore gli era balenato il desiderio di donare a quella Chiesa sofferente 6 generatori di ossigeno, molto costosi. Mi ha chiamato qualche giorno dopo dicendo che, in un periodo di così grave crisi, aveva appena ricevuto due offerte di lavoro notevoli. La lettura che lui dava a tutto questo era di sperimentare da vicino il centuplo promesso a chi segue Gesù (cfr. Mt 19,29). Uniti ma a distanza: Pasqua è una boccata di ossigenoPer certi versi quello che stiamo vivendo ci ha riportato alla Chiesa delle origini e ci chiede lo stesso entusiasmo dei primi cristiani nell’annunciare il Vangelo. In questi giorni siamo stati come derubati dei nostri riti tradizionali, dai rametti di ulivo alle uova benedette. Soprattutto siamo stati privati della possibilità di respirare a pieni polmoni la vita della comunità, il confronto tra fratelli nella fede, l’abbraccio di chi ti vuol bene. Ma davvero certi rituali sono l’unica espressione per confessare la propria adesione al Vangelo? In quante nazioni, ancora oggi, i popoli sono perseguitati e non possono uscire all’aperto, testimoniando apertamente quanto seguono Gesù? Eppure, in molti casi stanno vivendo il loro martirio quotidiano con grande fede. Peraltro, nella situazione attuale pur con tutte le sofferenze connesse, nessuno ci sta perseguitando. La distanza sociale è un atto di premura verso coloro che sono più deboli: gli anziani, i sofferenti di malattie polmonari, o semplicemente coloro che hanno minori difese immunitarie, dinanzi a un virus dai poteri sconosciuti. È paradossale, ma la morte di Gesù sulla croce in realtà è per mancanza di aria nei polmoni; un po’ come per quelle persone che in questi giorni soffrono nei reparti di terapia intensiva. Ma noi abbiamo il vero generatore di ossigeno che è il Risorto!Le radici della fede pasquale: «Questo giorno sarà per voi un memoriale» (Es 12, 14)Potremo allora celebrare Pasqua stando nelle nostre case, con i familiari e con coloro a cui si vuol bene. Potremo collegarci via telefono o via web con gli amici e i familiari che sono più soli. Potrà essere utile ripercorrere le letture della Veglia Pasquale, che raccontano la storia tribolata di un popolo sanata e trasformata in storia di salvezza. Già gli antichi celebravano il plenilunio di primavera, come transito dalla stagione delle foglie morte alla rifioritura dell’universo. Poi, i nostri fratelli maggiori, gli Ebrei, iniziarono a celebrare Pèsach, ovvero la memoria viva del passaggio dalla schiavitù d’Egitto alla libertà della Terra Promessa. Risuonano ancora per noi alcune istruzioni: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne» (Es 12,14). Le case d’Israele dovevano essere segnate con il sangue dell’agnello e si mangiava pane azzimo. Sarà infatti poi l’Agnello di Dio, Cristo Gesù, a salvare e rimarrà nel segno del pane spezzato, il pane che non ha tempo di lievitare perché c’è un kairòs, un tempo favorevole di salvezza, un’occasione da prendere al volo. Ancora oggi nelle famiglie ebree la sera di Pasqua il più piccolo della casa domanda la ragione di quel rito e la Parola suggerisce cosa fare: «Quando i vostri figli vi chiederanno: “Che significato ha per voi questo rito?”, voi direte loro: “È il sacrificio della Pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli Israeliti in Egitto, quando colpì l’Egitto e salvò le nostre case”» (Es 12,26-27).Certamente, sia nel periodo dell’Esilio, che durante il tempo dei lager, anche se con segni più poveri, la cena pasquale (in ebraico Seder di Pesach) era celebrata con ancor maggiore intensità.È interessante che nella decima piaga d’Egitto c’è un invito che riecheggia spesso in queste ultime settimane: «Nessuno di voi esca dalla porta della sua casa» (Es 12,22). Si tratta infatti di attendere nella propria dimora l’alba del nuovo giorno, quello della liberazione. Le pareti di casa diventano Chiesa: «il Risorto non ci abbandonerà mai» (AL 256)Ma cos’è Pasqua per noi cristiani? È l’esperienza concreta che non soltanto stiamo facendo memoria delle radici che ci hanno generato nel popolo ebraico. Stiamo intravedendo i germogli di una nuova primavera!È chiaro che in questi giorni è difficile alzare lo sguardo, ma come ci dice la Parola e come ci ha ricordato Papa Francesco nel suo videomessaggio alle famiglie, «la speranza non delude» (Rm 5,5), perché è salda in Cristo Gesù. Si tratta allora di vivere in famiglia come una vera piccola chiesa domestica, la preghiera e la festa del sepolcro vuoto. Nell’Amoris laetitia il Papa ci indica la via: «I coniugi danno forma con vari gesti quotidiani a uno spazio teologale in cui si può sperimentare la presenza mistica del Signore risorto» (cfr. AL 317).È bello che il Papa attuale abbia preso una citazione di San Giovanni Paolo II, riferita alla fraternità nelle comunità monastiche, e l’abbia calata nella dimensione sponsale. È allora l’anno migliore per preparare con cura una bella mensa familiare e festeggiare la liberazione dal peccato che ci ha riservato Cristo Gesù. «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio»(2 Cor 5,21). Ci si può allora perdonare del tutto e guardare in modo nuovo fra marito e moglie, fra genitori e figli e anche, per chi è solo, con altri fratelli e sorelle nella fede, nella grande famiglia di Dio. Non è questione di essere diversi; siamo gli stessi peccatori di ieri. Si tratta di lasciarci abbracciare dall’amore che ci trasforma e ci guarisce. Come dice Papa Francesco, «solo quello che si abbraccia può essere trasformato» (CV 120). In Lui, nel Salvatore, abbiamo infatti la speranza certa che torneremo a condividere a pieno gli affetti, a correre insieme sui prati o lungo i nostri litorali e soprattutto, dopo questo esilio, a celebrare la vera Pasqua nel dono della comunità cristiana.