La nostra patria definitiva è il cielo

28 maggio, Ascensione del Signore: «Fu elevato in alto sotto i loro occhi» (At 1,1-11); «Ascende il Signore tra canti di gioia» (Salmo 46); «Chiamati allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,1-13); «Gesù è assunto in cielo e siede alla destra di Dio» (Mc 16,15-20)DI CARLO STANCARIL’Ascensione (che avremmo dovuto celebrare il 40° giorno di Pasqua! Nella Bibbia i numeri hanno un carattere simbolico) appare come la conclusione del Vangelo e come la fine dell’avventura terrena del Figlio di Dio. Ma i testi di questo anno liturgico ci dicono il contrario. Ci parlano dell’inizio del Vangelo, annuncio di salvezza; insistono sulla presenza invisibile del Cristo nell’annuncio dei suoi Apostoli; curiosamente, il racconto della nascita della Chiesa negli Atti degli Apostoli (prima lettura) comincia con l’Ascensione. In effetti, attraverso questo mistero presentato due volte, siamo invitati a guardare verso il cielo (nostra patria) e a portare al tempo stesso il nostro sguardo verso la terra (nostra responsabilità). Così Paolo parla della glorificazione del Cristo, e sottolinea che la potenza di Dio agisce da ora in noi, associandoci alla gloria di Gesù. È dunque di questo mistero che noi dobbiamo prendere coscienza (seconda lettura).

L’Ascensione non ci invita a restare con gli occhi rivolti verso il cielo (per gli antichi in alto, nel cielo appunto, stava Dio; sotto terra, il diavolo; e la terra era considerata il luogo proprio dell’uomo; non si tratta quindi del cielo astrale, ma del «mondo di Dio», quando parliamo di «cielo» nella Scrittura); ci orienta invece verso la vita della Chiesa nella storia. Da allora noi siamo i testimoni del Cristo morto e risuscitato (Vangelo); testimoni e inviati di un regno che non sarà che celeste, ma del Regno già inaugurato dal Cristo risuscitato. Questo Regno non ha una capitale geografica o un esercito; è presente là dove un cuore e un’esistenza si aprono all’azione dello Spirito Santo, alla presenza operante di Dio, che è amore.

L’Ascensione di Gesù, dunque, non ci allontana dal mondo; piuttosto rende ogni battezzato testimone dell’impegno di Dio nell’umanità. Il Cristo, adempiuta nell’obbedienza d’amore la volontà del Padre, è costituito «Signore» (questo era il titolo di cui si fregiava l’imperatore romano; recuperiamo il senso contestativo dell’attribuzione di fede che noi diamo a Gesù chiamandolo «Nostro Signore»). Non esiste altra signoria in cui possiamo sperare e salvarci.Mistero di fede, l’Ascensione ci fa entrare nel mistero della Chiesa credente e perciò evangelizzatrice: invisibile, il Cristo è ormai presente, agisce nel mondo attraverso i suoi, gli amici suoi, cioè attraverso ciascuno di noi divenuto membro del Cristo con il Battesimo. Noi siamo le mani e le braccia del Vivente e Veniente Signore della storia. La qualità della nostra vita conformata al Vangelo, diventerà seme di una quantità rinnovata di amici del Signore. Gesù non è assente, ma è una presenza nascosta e realmente operante, come vediamo nell’esistenza di tanti uomini e donne (i santi e gli uomini di buona volontà) secondo il cuore di Dio.

Mistero di fede, l’Ascensione è anche il mistero di speranza: il Cristo è entrato vivente e pienamente nel Regno dei cieli; noi lo raggiungeremo là un giorno. Il Salmo acclama al Signore che sale al cielo, come preludio alla nostra propria elevazione. È la prefigurazione del nostro destino eterno. E noi, nell’attesa che si compia la beata speranza del suo ritorno, viviamo la missione di annunciare, in opere e parole, la Buona Notizia dell’amore del Padre per tutti. Ogni gesto di carità nella verità fa guadagnare a noi e al mondo una piccola tappa del lungo cammino verso la pienezza del Regno. Bisognerà ricordarci che la nostra patria definitiva è il «cielo», che cioè non abbiamo qui una dimora definitiva. Nella «dinamica del provvisorio», come la chiamava frére Roger di Taizé, abbiamo la gloriosa missione di lasciar trasparire la speranza che ci abita.