La necessità di fare la volontà del Padre

Letture del 1 giugno, 9ª domenica del Tempo Ordinario: «Io pongo oggi davanti a voi una benedizione e una maledizione» (Dt 11,18.26-28); «Sei tu, Signore, la roccia che mi salva» (Salmo 30); «L’uomo è giustificaton pe la fede indipendentemente dalle opere» (Rom 3,21-25.28); «La casa costruita sulla roccia e la casa costruita sulla sabbia» (Mt 7,21-27)

DI MARCO PRATESI

L’esortazione di Gesù – occorre fare la volontà di Dio – e il paragone delle due case – una regge e una crolla -, ricorda la predicazione deuteronomistica della prima lettura, centrata sull’alternativa benedizione/maledizione: l’obbedienza alla legge di Dio comporta la benedizione e la vita, la disobbedienza la maledizione e la morte.

È un principio fondamentale: il bene fa vivere, il male fa morire. Fare il bene fa bene, fare il male fa male. Pur con tutte le distinzioni e le precisazioni che si possono e si debbono fare, questo principio rimane tuttavia essenziale.

Certo, S. Paolo ci spiega che, da sola, tale affermazione ci condanna, tutti quanti: «Quelli che si richiamano alle opere della legge stanno sotto la maledizione, poiché sta scritto: “Maledetto chiunque non rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro della legge per praticarle”» (Gal 3,10, che cita proprio un testo del Deuteronomio, 27,26). Dobbiamo averlo ben chiaro: è decisivo che Cristo si sia fatto maledizione a nostro vantaggio. Egli ha vissuto la nostra morte di peccatori, divenendo per noi in tal modo vita; ha preso su di sé la nostra maledizione divenendo per noi benedizione. È evidente che tutto questo risulterebbe privo di senso, se venisse a cadere il principio che il male uccide e il bene vivifica. Senza di esso crollerebbe la stessa economia della redenzione. Questa parola ci richiama costantemente a riscoprirci peccatori perdonati e redenti.

Ma il principio è importante anche per un altro motivo, e cioè che anche per l’uomo redento rimane la necessità della scelta tra bene e male, vita e morte. Egli deve appropriarsi della redenzione mediante il proprio sì, ossia mediante la propria fede, speranza e carità. Rimane quindi l’invito pressante del Deuteronomio alla custodia premurosa della Parola nell’anima e nel cuore – essa deve rimanere ben viva e presente nell’orizzonte interiore – e alla vigilanza, che verifica se la volontà di Dio viene davvero vissuta nella concretezza. Non a caso il Vangelo odierno insiste proprio su questo punto: occorre fare la volontà del Padre. La prassi è ultimamente decisiva. Si misura qui la distanza (dell’ebraismo e) del cristianesimo da ogni religione di tipo gnostico, dove l’accento è posto sulla conoscenza, quasi che la semplice apertura di nuove prospettive tutte interiori e «spirituali» sia quanto è sufficiente e richiesto per entrare nella nuova dimensione della salvezza. Paradigmatica l’espressione che leggiamo in Esodo 24,7: «Mosè prese il libro del patto e lo lesse in presenza del popolo, il quale disse: ‘tutto quello che il Signore ha detto noi lo faremo e lo ascolteremo’». Vero ascolto è l’azione conforme a quanto ascoltato. Si può dire di aver ascoltato solo quando si è messo in pratica. S. Massimo il Confessore lo dice splendidamente: «La bellezza della sapienza è la conoscenza praticata, ovvero la prassi sapiente». Soltanto quando prende carne in una persona, la sapienza risplende e si mostra per quello che davvero essa è.