La morte di Cristo produce molti frutti

Letture del 2 aprile, 5ª domenica di Quaresima: «Concluderò un’alleanza nuova, non mi ricorderò più del peccato» (Ger 31,31-34); «Crea in me, o Dio, un cuore puro» (Salmo 50); «Imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza eterna» (Eb 5,7-9); «Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto» (Gv 12,20-33)DI CARLO STANCARIChi può credere che un grano di frumento potrà dare cinquanta grani e più? Non c’è niente da vedere, eppure dei Greci saliti a Gerusalemme vogliono «vedere Gesù» (Vangelo): in effetti che cosa vogliono vedere? Forse vogliono incontrare un maestro di saggezza, una specie di filosofo taumaturgo come quelli che essi già conoscevano. Ma Gesù non fa che rinviarli all’immagine del grano che caduto in terra muore, come se volesse rifiutare di stare al gioco. Allora si ode la voce dal cielo (nei Sinottici questa voce si sente nel battesimo al Giordano); ed è Gesù stesso che ne spiega il senso: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi» (Gv 12,30); egli rinvia di fatto al Padre suo.

«Padre, liberami da quest’ora». II suo grido è l’indice della sua perfetta umanità. La filiazione divina non lo dispensa da alcuna umiliazione: benchè egli sia il Figlio, egli tuttavia ha imparato l’obbedienza dalle cose che patì (seconda lettura). A poca distanza dalla settimana santa, la settimana maggiore dell’anno liturgico, ecco come una chiave di lettura che ci è data: Gesù ha assunto la condizione umana e, per amore, attraverso la sofferenza, indica che l’uomo è capace di un dono totale. Che magistero difficile e urgente!

La situazione che incontra il profeta Geremia è quella di un popolo in esilio che si crede abbandonato, che ritiene ormai l’Alleanza definitivamente spezzata. Dio promette una Alleanza nuova (prima lettura), scritta nel cuore dell’uomo, frutto del perdono dei peccati che il Figlio di Dio, unico vero sacerdote mediante la sua obbedienza fino alla morte di croce, ottiene per tutti.

Dunque il cristiano normalmente non è l’uomo della visione, ma della fede; l’incontro con il Signore avviene solo nella nudità di un affidamento totale, amando il Signore «pur senza vederlo» (1Pt 1,8). Ma quando questa fede è ben radicata, se ne vedono i frutti di carità e di speranza incrollabile.

E questa fede senza visione, abilita ad una sapienza che riconosce nella ignominia della croce (che è amore pagato di persona) la gloria stessa di Dio, la manifestazione della Sua identità. Come per portare frutto è necessario che il grano caduto in terra muoia, così la morte e la risurrezione di Cristo sono una «necessità» divina. Vedere l’invisibile nel visibile opaco della nostra umanità deturpata: questo il discernimento di cui sono particolarmente testimoni i santi, contemplativi del mistero della croce di Cristo e dell’uomo.L’avventura di Gesù è anche la nostra: «Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io là sarà anche il mio servo» (Gv 12,26). E’ la via della donazione di sè e dell’amore totalmente offerto per la salvezza del mondo, nella gioia di testimoniare che vale la pena vivere e morire a causa di Gesù e del suo Regno. Teniamo fisso lo sguardo su Gesù nell’esperienza dell’amore, trasformando la vita quotidiana in liturgia, in culto spirituale, in offerta gradita a Dio, «nulla, assolutamente nulla anteponendo all’amore per Cristo» (S. Benedetto, Regola). Liberati dalla tirannia del nostro egoismo, praticando la regola aurea del comandamento nuovo, adagio adagio cresciamo configurandoci al Signore della vita e della storia. Chiunque incontra un cristiano abitato da questo fuoco, sente dentro di sé l’interrogativo e la nostalgia: che sia proprio il Signore colui che vado cercando a tastoni nelle mille proposte e nella ridda confusa dei desideri e dei bisogni che disorientano l’esistenza? La capacità di soffrire dando la vita per gli altri (oltre il successo o il consenso), induce a trovare la forza nascosta di un amore che più grande non c’è. Ora tocca a noi vivere la contemplazione e la grazia della Pasqua perchè il mondo creda.