La morte di Cristo produce molti frutti
«Padre, liberami da quest’ora». II suo grido è l’indice della sua perfetta umanità. La filiazione divina non lo dispensa da alcuna umiliazione: benchè egli sia il Figlio, egli tuttavia ha imparato l’obbedienza dalle cose che patì (seconda lettura). A poca distanza dalla settimana santa, la settimana maggiore dell’anno liturgico, ecco come una chiave di lettura che ci è data: Gesù ha assunto la condizione umana e, per amore, attraverso la sofferenza, indica che l’uomo è capace di un dono totale. Che magistero difficile e urgente!
La situazione che incontra il profeta Geremia è quella di un popolo in esilio che si crede abbandonato, che ritiene ormai l’Alleanza definitivamente spezzata. Dio promette una Alleanza nuova (prima lettura), scritta nel cuore dell’uomo, frutto del perdono dei peccati che il Figlio di Dio, unico vero sacerdote mediante la sua obbedienza fino alla morte di croce, ottiene per tutti.
Dunque il cristiano normalmente non è l’uomo della visione, ma della fede; l’incontro con il Signore avviene solo nella nudità di un affidamento totale, amando il Signore «pur senza vederlo» (1Pt 1,8). Ma quando questa fede è ben radicata, se ne vedono i frutti di carità e di speranza incrollabile.