La mormorazione e l’attrazione

Domenica 10 agosto, 19ª del Tempo Ordinario. I giudei mormoravano di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo» … Gesù riprese: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato». (Giovanni 6,41.43-44)

DI BENITO MARCONCINIIl discorso sul pane di vita del capitolo sesto del vangelo di Giovanni, al quale per cinque settimane attinge la liturgia domenicale, sta raggiungendo il suo vertice: il senso eucaristico del discorso diventa ora manifesto.

All’incomprensione della folla del gesto di Gesù come «segno» si aggiunge da parte dei giudei la «mormorazione». Questa richiama l’atteggiamento del popolo ebraico durante il cammino nel deserto quando non accettava di soffrire la fame, la sete, la guerra per entrare nella terra promessa e si ripete nel comportamento dei giudei che ritenevano inconciliabile l’affermazione di Gesù sulla sua origine divina con la normalità della sua esistenza.

La mormorazione è rifiuto di come Dio realizza il piano di salvezza e contestazione di una situazione concreta giudicata incapace di salvare: mormora chi ritiene impossibile la presenza di Dio nella debolezza, in quella «carne» di Gesù intesa dal Padre quale strumento di grazia, condiscendenza, volontà di comunicazione.La «mormorazione» è la ribellione del credente dinanzi all’irrazionalità di certe situazioni, come se la cattiveria umana che le ha provocate fosse capace di eliminare quella salvezza posta in esse da Dio.

Per accettare il mistero della nostra esistenza, prolungamento del mistero di Cristo, necessita l’attrazione del Padre, una spinta forte e dolce, una luce penetrante, che il Padre concede a coloro che la chiedono. «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre» (Gv 6,44).