La missione esige povertà e coraggio

Gesù chiama i Dodici e li manda in missione con parole che fremono  di urgenza e di tensione, di impegno radicale e di povertà. Non li distingue né virtù, né abilità particolare o qualità oratoria. Se manca loro qualcosa per l’attuazione del loro incarico, verrà ad essi aggiunto.

Manca loro senz’altro quanto viene loro dato allorché vengono mandati: l’autorizzazione ad annunciare il regno di Dio, e questo con il potere  di cacciare gli spiriti impuri, il che è unicamente possibile se si ha lo Spirito Santo, che estendendosi ricaccia indietro la sfera di azione dello spirito maledetto.

Avendo ricevuto questi doni da Gesù, si richiede loro di non mischiarli con i propri mezzi di appoggio o di propaganda; perciò nessuna bisaccia,  non pane, non denaro, non abiti per cambiarsi, … e neppure ricerca di un’abitazione più comoda (in una casa, rimanetevi  finché non sarete partiti di lì).  Gli incarichi sono l’annuncio, il richiamo alla conversione, non il successo. Se non ci sarà il successo, ad essi non deve importare, devono semplicemente andar oltre e tentare altrove (Urs Hans von Balthasar).

«Ciò che contraddistingue l’apostolo non è il suo valore umano, la sua creatività spirituale, la sua influenza religiosa, ma la chiamata di Gesù Cristo, la missione che ha ricevuto, il sigillo che gli è stato impresso. … L’apostolo non parla a nome proprio, ma in nome di Cristo. Non si lascia guidare dalla propria scienza o dalla propria esperienza,  ma dalla parola di Dio e dalla missione ricevuta. È colmo di Cristo, impregnato del suo pensiero. Il Signore è la sostanza della sua vita. Lui egli porta,  non in virtù della propria esperienza religiosa personale, ma perché il Signore lo ha scelto per questo» (Romano Guardini, Il Signore).

L’appello del Cristo è centrato sulla povertà e sul coraggio. La missione esige innanzitutto la donazione totale; le mani non devono essere impacciate da borse e denaro; la grandezza della figura dell’apostolo non si misura sulle insegne ufficiali e sulle tuniche diverse e ben ricamate; il viaggio non è una solenne e raffinata missione diplomatica.

Anzi, continua Gesù, la missione conosce il rifiuto, con porte che si chiudono, con orecchi che ignorano, con labbra che scherniscono.

Noi  dobbiamo continuare la fatica apostolica del Cristo. Meglio: noi dobbiamo raggiungere Gesù che ci precede in Galilea, la Galilea delle genti (Mt 28,7; 4,15). Il medesimo messaggio di conversione da annunciare; la medesima lotta contro le forze del male; la medesima attenzione ai malati e ai sofferenti; la medesima attenzione per i discepoli, avvertiti della necessità di mantenersi leggeri per il cammino e liberi dal peso delle cose per non rimanere senza fiato ed essere distaccati da Lui.

Chi ha la missione di evangelizzare? Il concilio Vaticano II ha risposto con chiarezza: alla Chiesa per mandato divino incombe «l’obbligo di andare nel mondo universo a predicare il vangelo ad ogni creatura» (DH, 13). E in un altro testo: «Tutta la chiesa è missionaria, e l’opera evangelizzatrice è un dovere fondamentale del popolo di Dio» (AG,35).

Gesù ha chiaramente raccomandato che gli annunciatori della Parola, vadano nel mondo non da soli, ma a due a due. La missione esige che restiamo «in coppia», cioè non divisi, ma in comunione gli uni con gli altri. È quanto Gesù ha chiesto al Padre nella preghiera sacerdotale: «Tutti siano una cosa sola … perché il mondo  creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21).

*Cardinale