La linfa passa dalla vite ai tralci

Letture del 18 maggio, 5ª domenica di Pasqua: «Bàrnaba raccontò agli apostoli come durante il viaggio Paolo aveva visto il Signore» (At 9,26-31); «A te la mia lode, Signore» (Salmo 21); «Questo è il suo comandamento: che crediamo e ci amiamo» (1 Gv 3,18-24); «Chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto» (Gv 15,1-8)

di Sandro SpinelliIn questa domenica quinta di Pasqua, la Chiesa ci propone uno stralcio del grande «discorso di saluto» che Gesù offre ai suoi discepoli prima di lasciarli. Nel brano evangelico è presentata un’immagine molto cara al popolo di Israele, un’immagine abbondantemente usata dai Profeti e nei salmi, un’immagine utile ed inequivocabile anche per noi del Nuovo Testamento, oggi: la vigna, la vite, i tralci, i frutti e …soprattutto: il vitale rapporto tra queste componenti.

Gesù definisce se stesso: io sono la Vite!; chiama tralci i suoi discepoli; ne consegue che la vigna è il Regno di Dio-Chiesa e che il vignaiolo è il Padre. Ai tralci è chiesto di portare frutti. A noi, tralci di Cristo, è chiesto di portare i frutti che l’albero (cui siamo legati) vuol produrre. E Cristo intende produrre i frutti che il Padre-vignaiolo esige. Chiediamoci allora: qual è la volontà del Padre? Quali frutti intende produrre Cristo Gesù? Come è possibile per noi una feconda collaborazione? Queste sono le domande che costituiscono la meditazione di questa quinta domenica di Pasqua.

1. una sola è la volontà di Dio: raccogliere in unità con sé, tutti gli uomini, proprio come tralci di una sola vite, fratelli in una sola famiglia. Tale unità – là dove già la si sta vivendo – la riconosciamo non imposta, né costretta e neppure tenuta insieme coi chiodi… bensì fondata nell’amore grande di Dio creatore per quanto Lui stesso ha creato, stimato e amato.

2. Il frutto che intende produrre questo sano albero – che è Cristo – si chiama: uomo salvato! Uomo che possa ritornare a vivere in libertà il rapporto con Dio e in esso gustare la santità in questa vita e per l’eternità.

3. «È eccessiva, per le forze umane, la collaborazione che il Signore ci chiede!» questa potrebbe essere la nostra cosciente e responsabile obiezione.

Ma Cristo Gesù ci ha risposto affermando: «chi rimane in me ed io in lui, fa molto frutto» Questo inserimenti in lui permette al tralcio di essere alimentato della stessa linfa della vite, permette ai discepoli di essere alimentati della stessa passione vitale del Signore…, ci rende possibile di fruttuosità, di fecondità inimmaginabili.

Questo dunque è l’insegnamento che oggi ci è consegnato: «rimanete in me…!» La nostra immanenza in Gesù – resa possibile dall’iniziativa del Padre – esprime la realtà più alta dell’amore! Allora, perché l’amore del Signore diventi la forma dei nostri rapporti umani, è indispensabile dimorare in Lui, è necessario essere inseriti nel tronco dell’albero che – solo – rende possibile ciò che parrebbe impossibile. La nostra vitalità e la nostra fecondità diventano così possibili; ci è chiesto di restare inseriti, legati alla vite… nella vigna.

In un vincolo così stretto è garantito il passaggio della linfa, fino all’estremo tralcio e solo in tal modo il tralcio può vivere della medesima vita della vite. Solo così noi possiamo amare «come Lui ci ha amati!» (NB: non è sufficienti amarci tra noi…, bensì: come Cristo ci ama!) La nostra vita cristiana pasquale consiste proprio in questo rimanere in Lui! Questo legame saprà diventare segno missionario, potrà certamente diventare esperienza trasformante perché può mostrare la nostra esistenza già trasformata dall’incontro fatto col Signore; in Cristo risorto abbiamo infatti trovato quanto di vero, utile e significativo cercavamo.

Il versetto 5 ricorda: «chi rimane in me ed io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla»; qui è presentata l’esigenza a perseverare; infatti, solo la perseveranza nel restare inseriti in Cristo non permette la sterilità che tutto secca e tutto rende inutile.Il nostro personale e comunitario restare inseriti in Cristo risorto, mentre risulta essere il vertice dell’esperienza cristiana, è – di fatto – ciò a cui tendeva fin dalle origini, il disegno buono di Dio per l’uomo sua creatura. Questo restare inseriti in Cristo ci ricorda di essere stati creati in Lui, per mezzo di Lui e in vista di Lui. Innestati nel Signore Gesù, come tralci nella vite, raggiungiamo quotidianamente la gioia della nostra vita di figli, perché pienamente associati alla vita dell’Unigenito incarnato e risorto…: così «saprete che io sono nel Padre e voi in me ed io in voi» (Gv 14,20) La fecondità dei tralci, della Chiesa intera, è quindi l’esito buono del laborioso lavoro del vignaiolo su una vite obbediente con dei tralci che han deciso liberamente di collaborare restando legati al tronco. Ma c’è un’ulteriore insegnamento che è offerto da questo brano. È implicito ma occorre esplicitarlo e ad esso porre attenzione: i frutti rigogliosi di tante forze convergenti… appartengono solo al vignaiolo; non sono dei tralci…! Anche se sono stati i tralci a supportare i frutti e spesso, li hanno coperti con le foglie per proteggerli dalla calura e dai rapaci. I frutti sono solo del padrone della vigna. Le nostre mani vuote (non sterili), vuote (perché abbiamo consegnato tutto al Signore) sono il segno più eloquente della nostra maturità nell’esperienza cristiana, nella Chiesa.