La fede non offre risposte, ma compagnia
La liturgia della parola di questa domenica è attraversata dalla grande domanda che, espressa dal profeta, attraversa la Bibbia e si estende nella storia fino ad oggi: perché Signore? Perché «mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione?» (Ab 1,2). Perché la guerra, perché la morte degli innocenti, la tragedia delle malattie, dei terremoti, delle catastrofi frutto della malvagità dell’uomo o della cecità della natura? Una domanda che continuamente risuona in modo sempre nuovo, senza conoscere l’usura del tempo.
A questa domanda la Bibbia risponde con una affermazione altrettanto grandiosa: «il giusto vivrà per la sua fede» (Ab 2,4), affermazione per certi versi disagevole che ha tormentato e stimolato santi, testimoni e riformatori e che però non si lascia facilmente afferrare o sistematizzare. Ritornerà nel Nuovo testamento come sostegno nei momenti di crisi (cf. Eb 10, 36-38) o in contesti di riflessione più distesa (cf. Rm 12,6). Risuona in modo quasi aspro nell’annuncio di Cristo stesso, come nel Vangelo di oggi (Lc 17,5-10), con la sua secca risposta alla domanda dei discepoli che, riconoscendo la propria mancanza, chiedevano a Lui di aumentare la loro fede. E allora forse anche noi possiamo trovarci a oscillare fra lo scetticismo chi di vede di volta in volta rimpicciolire questo seme sotto i colpi delle provocazioni che la vita gli riserva, e l’oltranzismo di chi comunque incolpa l’uomo dei suoi rovesci e della sua mancanza di fede, una dialettica che nella Bibbia ha una manifestazione emblematica nella vicenda di Giobbe, che richiama da vicino una sensibilità tipica del pensiero islamico dove Allah non ha alcun obbligo nei confronti dell’uomo.
Anche nel Vangelo di oggi sembra di sentir risuonare una affermazione simile, dove Cristo afferma che il padrone non ha alcun obbligo verso i suoi servi. Sembra quindi che non resti che chinare il capo e, come Giobbe, chiudersi la bocca (cf. Gb 42,4). Il Vangelo, in realtà, continua a sorprenderci laddove, addirittura per bocca dello stesso Luca, Gesù dice che al suo ritorno, «si cingerà le sue vesti, farà mettere a tavola e passerà a servire» (Lc 12,37) i suoi servi fedeli, cosa già anticipata nella sera della Cena (cf. Gv 13,4), dove Egli chiama i suoi non più servi, ma amici (cf. Gv 15,15).
In quest’ottica la fede non significa aver trovato le risposte agli enigmi della vita, o la «password» per decrittare i misteri del cosmo, significa vivere il quotidiano in compagnia di qualcuno, Gesù il maestro. La fede non offre risposte, ma uno sguardo diverso, per cui può svelare addirittura maggiori contraddizioni di cui altri non si rendono conto, non solo risolvere enigmi ma portarne altri alla luce. È una modalità di percorrere la storia ma che ci dice che la realtà non è solo questa. Come il clown che va a fare il suo spettacolo nella città martoriata, o il violinista che suona Mozart sotto le bombe, la fede fa intravedere un mondo diverso, remoto ma possibile, perché è il mondo di Dio. Non si cura di spostare a caso alberi o montagne, ma di indicare che comunque ve ne è la possibilità, che dietro la montagna che ostacola la vista c’è un panorama diverso, una terra da esplorare e un cammino che può riprendere.
*Cappellano del carcere di Prato