La cosa più preziosa della vita
1. Adulto è l’essere in grado di distinguere e di dare il nome alla ragione su cui stà o cade la sua vita. Questo è il vero tesoro nascosto in lui, questa la perla preziosa che lo sostiene e lo orienta, una ricchezza acquistata ognuno sa come e dove a cui è da stupidi rinunciare. È all’interno di questa umanissima esperienza che la parola evangelica si fa vicina carica di un proprio peculiare messaggio che domanda attenzione.
2. Le prime due parabole (Mt 13,44-46), simili, mettono in scena un affittuario e un mercante di gioielli i quali trovano, l’uno casualmente e l’altro attraverso una assidua ricerca, un tesoro e una perla di raro valore. Nel primo caso si tratta di un recipiente d’argilla con dentro monete d’oro o d’argento nascosto nel campo che il bracciante lavorava, nel secondo caso di un normale commercio di perle tra cui particolarmente preziose erano quelle importate dall’India. Fatti a cui segue una reazione, sulla quale ama soffermarsi il racconto: la gioia per un simile trovare e la disponibilità a vendere tutto pur di non perderlo, compreso il nasconderlo al padrone del campo. Un vendere tutto senza rimpianti perché nulla vale quell’affare, perdere il quale è gettare alle ortiche l’occasione della vita, e Matteo sa che questo è possibile.
L’insegnamento è chiaro: similmente ai due trovatori così deve accadere a coloro ai quali o in un modo o in un altro è stato dato trovare il regno dei cieli, questi devono fare di tutto per divenirne proprietari. Cosa ovviamente possibile se davvero il regno è esperimentato e pensato con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutto il corpo come il tesoro-perla della propria vita. Ove dire regno equivale a riconoscere nella regalità di Dio apparsa in Cristo la ragione prima e ultima sulla quale poggia l’esistere, il nucleo fondativo e costitutivo da cui tutto emana e a cui tutto rimanda. Regalità che narra sè stessa in termini di amore: Dio in Cristo ama la creatura umana da rivelarla compiutamente a sè come «tu amato dal Padre», l’ineffabile nome dell’uomo, come «tu inviato ad amare come amato», l’ineffabile compito dell’uomo, come «tu amato di un amore eterno», l’ineffabile approdo dell’uomo.
Gli iniziati a questi tesori-perle in verità vengono introdotti in orizzonti di gioia e di senso tali da considerare secondo e secondario tutto il resto: il loro determinante non saranno più le ragioni assolutizzate del denaro, dell’io, del clan e altro ancora ma lo sarà un custode che ha svelato la sua nobiltà nel ricordare all’uomo la sua verità di custodito come la pupilla dell’occhio, di donato come angelo custode a ciascuno e al creato e di custodito per sempre. Finalmente alleggeriti dal peso ingombrante degli assoluti, finalmente innestati in una radice il cui nome è Dio amore che in Cristo amore genera l’uomo amore estasi del mondo e cittadino del futuro. Trovare questo tesoro-perla è scoprire l’articolo senza confronti di prezzo su cui riposa la vita del discepolo, è in definitiva trovare Cristo il viandante in cerca dell’uomo per seminare nel suo profondo queste buone notizie (Fil 3,8; Mt 16,24-25).
Gli uomini che capiscono questo diventano gli scribi del regno dei cieli (Mt 13,51-52), coloro cioè nel cui cuore è scritta e posseduta la legge di Dio attraverso la quale egli regna, la legge dell’amore e dell’eternità, antica come le Scritture di Israele, nuova nell’interpretazione datane da Gesù e sempre capace di orientare in novità il cammino storico delle Chiese di Dio in Cristo. Nella speranza, e a questo fa riferimento la parabola della rete (Mt 13,47-50), di poter splendere come sole nel regno del Padre (Mt 13,43) giunto il tempo ultimo della separazione dei pesci buoni e cattivi. E con questo viene data risposta alla domanda: che ne sarà dei giusti? Di coloro che già da ora hanno vissuto, pur nelle tribolazioni e negli inevitabili chiaroscuri, alla luce della «carta del regno» riassunta nel gesto e nella parola di Gesù? Sarà l’ingresso nel regno luminoso del Padre.
3. «Avete compreso tutte queste cose» (Mt 13,51), cioè i misteri del regno dei cieli? Gesù è straniero al suicidio della intelligenza, egli vuole amici dediti all’arte del pensare che consiste nella capacità di ascolto, di interrogazione, di interiorizzazione, di silenzio e di riflessione perché il nascosto diventi sempre più palese. Arte da suscitare a tempo e fuori tempo. Nel caso delle parabole del regno, aspetto che occupa l’intero capitolo tredici del Vangelo di Matteo, l’illuminazione consiste nel sapere che la cosa più importante che può accadere nella vita è la vicinanza premurosa e piena di Dio in Gesù e nella sua parola. Una vicinanza che domanda accoglienza libera e nella gioia, il cui frutto è un qui e ora in una vita altra, evangelica, e un allora aperto all’eterno. Una accoglienza non a basso prezzo, nella tribolazione, nella pochezza e nel nascondimento ma creatrice di un esserci talmente bello, significativo e fecondo di futuro da non avere paragoni, un esserci di diversità nel panorama di una terra amata. Questo dice regno dei cieli.