La buona notizia disattesa

IV Domenica del Tempo ordinario. Letture:  Ger 1,4-5. 17-19;  1Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30di GIANCARLO BRUNIEremo delle Stinche – Panzano in Chianti

1. Gesù nella sua omelia di Nazaret si è presentato come l’ «io sono mandato a portare ai poveri il lieto annuncio», con lucidità egli legge sé stesso come il sospinto da Soffio di Dio a divenire l’oggi di Dio per i curvati della e dalla vita. Un annuncio inevitabilmente provocatorio, a partire da quanti nella sinagoga avevano gli occhi fissi su di lui (Lc 4,20).

2. La reazione dei concittadini al suo commento al brano di Isaia (Lc 4,18-19) si articola in tre momenti: dalla meraviglia al dubbio al rifiuto. «Tutti gli davano testimonianza», espressione che indica disposizione favorevole da parte degli uditori, «ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca» (Lc 4,22), di un messaggio cioè potente ed efficace che proveniva dalla benevolenza di Dio e che esprimeva il favore di Dio, parola che dalla bocca di Gesù perveniva all’orecchio degli ascoltatori.

Annuncio di stupore immediatamente attraversato dal sospetto: «Non è costui il figlio di Giuseppe?» (Lc 4,22), e dalla pretesa: «Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao fallo anche qui, nella tua patria» (Lc 4,23). E quanto accadde a Cafarnao verrà raccontato subito dopo (Lc 4,31). La «cronaca» di Gesù, figlio di Giuseppe – uno di noi – di Nazaret (Gv 1,46)  in negativo per  altri, e la «pretesa» su Gesù, il miracolo non come segno della misericordia  di Dio ma come esigita esibizione di potenza per meritare fiducia, a cui Gesù non si presta, hanno impedito ai suoi concittadini di coglierne la diversità, il «segreto», e la novità imbrigliandone quella potenzialità creativa che solo la libera e fiduciosa accoglienza è in grado di fare esplodere. Un divenire ciechi fino allo sdegno, alla cacciata fuori dalla città e al desiderio della sua   morte (Lc 4,28-29). Gesù da parte sua attraversa questo mondo di incredulità e prosegue il  suo cammino (Lc 4,30) sorretto da una profonda lucidità, tipica di chi conosce il cuore dell’uomo senza farsi illusioni (Gv 2,24-25).

3. La provocazione di questa pagina investe il come accostare Gesù, e quella sinagoga di    Nazaret è la fotografia di persone e di assemblee scandalizzate dalla sua umile e datata condizione umana (Lc 7,23), ricche di pretesa miracolistica e possedute dalla segreta convinzione di averne il possesso esclusivo. Illusioni da cui convertirsi che impediscono la conoscenza di lui come medicina  e profezia di Dio a ogni creatura, come già Elia e Eliseo (Lc 4,25-27), e la conoscenza della Chiesa come compagnia della fede, della semplice accoglienza di lui come balsamo alla ferita dell’uomo nella Chiesa e al di fuori della Chiesa, come già accadde alla vedova di Sarepta e a Naaman il Siro al di fuori dei confini di Israele.