La buona notizia disattesa
1. Gesù nella sua omelia di Nazaret si è presentato come l’ «io sono mandato a portare ai poveri il lieto annuncio», con lucidità egli legge sé stesso come il sospinto da Soffio di Dio a divenire l’oggi di Dio per i curvati della e dalla vita. Un annuncio inevitabilmente provocatorio, a partire da quanti nella sinagoga avevano gli occhi fissi su di lui (Lc 4,20).
2. La reazione dei concittadini al suo commento al brano di Isaia (Lc 4,18-19) si articola in tre momenti: dalla meraviglia al dubbio al rifiuto. «Tutti gli davano testimonianza», espressione che indica disposizione favorevole da parte degli uditori, «ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca» (Lc 4,22), di un messaggio cioè potente ed efficace che proveniva dalla benevolenza di Dio e che esprimeva il favore di Dio, parola che dalla bocca di Gesù perveniva all’orecchio degli ascoltatori.
Annuncio di stupore immediatamente attraversato dal sospetto: «Non è costui il figlio di Giuseppe?» (Lc 4,22), e dalla pretesa: «Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao fallo anche qui, nella tua patria» (Lc 4,23). E quanto accadde a Cafarnao verrà raccontato subito dopo (Lc 4,31). La «cronaca» di Gesù, figlio di Giuseppe – uno di noi – di Nazaret (Gv 1,46) in negativo per altri, e la «pretesa» su Gesù, il miracolo non come segno della misericordia di Dio ma come esigita esibizione di potenza per meritare fiducia, a cui Gesù non si presta, hanno impedito ai suoi concittadini di coglierne la diversità, il «segreto», e la novità imbrigliandone quella potenzialità creativa che solo la libera e fiduciosa accoglienza è in grado di fare esplodere. Un divenire ciechi fino allo sdegno, alla cacciata fuori dalla città e al desiderio della sua morte (Lc 4,28-29). Gesù da parte sua attraversa questo mondo di incredulità e prosegue il suo cammino (Lc 4,30) sorretto da una profonda lucidità, tipica di chi conosce il cuore dell’uomo senza farsi illusioni (Gv 2,24-25).