Il tempo dell’attesa

DI GIACOMO BABINI Vescovo emerito di Grosseto Domenica 30 novembre, Prima di AvventoL’avvento è il tempo nel quale la Chiesa ci insegna a saper attendere nel raccoglimento, nella preghiera e nella carità. In questo tempo di silenzio possiamo fissare nei nostri occhi e nel nostro cuore la Sua fisionomia ed essere pronti a riconoscerlo e ad accoglierlo quando arriverà. Vangelo: Vegliate.L’Anno liturgico inizia con la chiamata del Vangelo ad essere vigilanti, perché il tempo della venuta del Signore non lo conosciamo. Il Natale sta fermo e sicuro, nella storia, ma non la venuta del Signore nel nostro vivere e morire, nel vivere e finire della Chiesa.

Anche nel nostro tempo ci sono forti motivi per vigilare. E veglia davvero chi accoglie la verità del Vangelo, l’autorità dei comandamenti e non si fa offuscare la mente dalla notte dello spirito. Ora più che mai c’è la notte della verità per cui tutto è vero e allo stesso tempo tutto è falso: sembra che il Vangelo non valga più della nostra opinione. Ce la notte dei sentimenti, la crisi delle famiglie per la incapacità di distinguere tra il bene dell’amore fedele ed il peccato del tradimento. C’è la notte dei valori che non sono più compresi da menti dipendenti dalle droghe, dall’alcol, dalla abitudine al vizio con cui si convive fino dalla prima adolescenza. A questa gente frastornata si rivolge l’invito deciso dell’evangelista. Vegliate! Svegliatevi!

Siamo tutti chiamati alla responsabilità per i beni del Signore. Ognuno ha il suo compito battesimale in quella realtà salvata che aspetta il ritorno definitivo del Suo Signore. Pertanto la Chiesa nel suo insieme è la sentinella che deve tenere tutti attenti. Però ciascun cristiano ha un compito particolare per il bene comune: «Siate dunque vigilanti: lo dico a tutti». Il lavoro affidato deve essere fatto. Si tratta di beni non nostri ma del Signore. Non ci serve un regno qualsiasi, ma il Regno di Dio.

II Lettura: Una attesa non passiva.La seconda lettura riporta una esortazione di Paolo ai corinzi per ricordare loro che hanno avuto la grazia di aderire a Gesù in tutta coscienza perché ne hanno riconosciuto la verità, la rispondenza a quanto le Scritture avevano detto di Lui, e la serietà del suo messaggio che li aveva aiutati a superare le superstizioni e le idolatrie pagane. «La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi saldamente». Manca soltanto di conoscere quando e come completerà il suo disegno e porterà a compimento la speranza che ha acceso nel nostro cuore.

L’attesa del suo ritorno non può essere una attesa passiva, ma una attesa nella quale avremo tutto il suo aiuto per perfezionare la comunione di vita con Lui e tra di noi, in modo che al suo ritorno glorioso non lo troveremo diverso da come lo abbiamo amato e seguito. Il nostro operare sarà secondo il bisogno dei nostri fratelli e sorelle ai quali ci rivolgeremo con la sicurezza della fede, con la forza della ragione e con lo stupore sempre più grande per le sue meraviglie, con l’animo del Magnificat di Maria. Questi mezzi di intervento ce li ha dati in dono, non possono rimanere inutilizzati. Egli non è lontano, ma agisce con noi sino alla fine del tempo.

I Lettura: «Se tu squarciassi i cieli e discendessi»La prima lettura è il lamento doloroso di un popolo che riconosce il proprio peccato e teme di essere abbandonato per sempre. «Perché ci lasci vagare lontano dalle tue vie e permetti che si indurisca il nostro cuore?» È un lamento a Dio, non una accusa a Lui, perché i suoi comandi potrebbero prevenire lo stato di cui ci lamentiamo, se li osservassimo. Ci siamo perduti nelle nostre questioni lontano da lui. Addirittura gli proibiamo di intervenire nei fatti della nostra società. Pertanto non possiamo dare colpa al Signore per il nostro stato. Vediamo in certi momenti che «la nostra giustizia», il nostro meraviglioso progresso è «un panno immondo», la presunta fioritura della nostra civiltà è «fogliame appassito, trascinato dal vento», cosicché a coloro che ancora sanno di Dio e della sua fedeltà, resta solo un grido: «Se tu squarciassi i cieli e discendessi!» Pensa a noi nonostante la nostra ingratitudine. Pensa a noi: «siamo opera delle tue mani». Siamo argilla che (Tu) il vasaio può sempre modificare.