Il soffio dello Spirito può far rivivere anche un mucchio di ossa aride
Letture del 9 marzo, 5ª domenica di Quaresima: «Metterò in voi il mio spirito e rivivrete» (Ez 37,12-14); «Il Signore è bontà e misericordia» (Salmo 129); «Lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi» (Rm 8,8-11); «Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,1-45)
di Marco Pratesi
La breve lettura di Ezechiele 37,12-14 è l’interpretazione di una celebre e impressionante visione che il profeta ha appena descritto: una moltitudine di ossa aride è divenuta, per opera dello Spirito di Dio, una moltitudine di persone vive (37,1-10). Ezechiele stesso ci dà la chiave di lettura della visione: le ossa rappresentano Israele in esilio, che si sente oramai perduto senza speranza, definitivamente finito (v. 11). In questa assenza di prospettive umane il Signore annunzia il suo intervento, che è una nuova creazione (il racconto richiama Gen 2,7), per la quale le ossa rivivranno: Israele, cioè, tornerà in patria e proseguirà il suo cammino nella storia. In quel momento Israele farà davvero l’esperienza («conoscere», vv. 13-14) di chi sia Dio, di chi abbia la signoria sulla storia, di quanto infallibilmente la sua Parola sia efficace, quanto potentemente creatrice.
È importante ricordarlo: si conosce davvero il Signore solo nella misura in cui si fa l’esperienza del suo amore fedele e della sua potenza liberatrice, che risalta tanto più netta quanto meno è possibile aspettarsi dalle forze umane. L’immagine delle ossa inaridite esprime come meglio non si può l’assoluta inaccessibilità della salvezza: «queste ossa potrebbero mai rivivere?» (v. 3), domanda Dio a ciascuno di noi. No, dobbiamo prenderne coscienza con chiarezza: i mezzi umani, di qualunque genere, non possono salvarci. Arte, scienza, tecnica, ricchezza, piacere, successo, lo stesso impegno etico, ci lasciano preda della morte; anzi, proprio tramite essi noi non facciamo altro che costatare e riconoscere una volta per tutte il potere della morte. Abbiamo bisogno di uno Spirito nuovo, di una vita che non può venire da noi.
Pur riguardano direttamente l’esilio in Babilonia, la profezia di Ezechiele apre il cuore umano a una grande promessa, di ben più vasta portata: «farò entrare in voi il mio Spirito» (v. 14). Venendo in noi, lo Spirito ricrea quanto è distrutto, e con ciò apre a una conoscenza nuova del Signore. Egli è adesso colui che ha cura della nostra vita, che nella morte ci resta fedele, che – lo leggiamo oggi nel Vangelo – con potenza ci richiama dal sepolcro facendo entrare in noi il suo Soffio vivificante.