Il Signore del cielo e della terra ha un cuore umile

Letture del 3 luglio, 14ª domenica del Tempo ordinario: «Ecco, a te viene il tuo re, umile» (Zc 9,9-10); «Benedetto sei tu, Signore, umile re di gloria» (Salmo 144); «Se con l’aiuto dello Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete» (Rm 8,9.11-13); «Io sono mite e umile di cuore» (Mt 1,25-30)

a cura della COMUNITA’ DI SAN LEONINOIn ogni tempo e cultura una sottile e quasi imprendibile tentazione fa capolino, per così dire, in tutto quello che siamo e facciamo: il bisogno profondo d’imporci, di distinguerci o di essere considerati importanti e insostituibili. I padri spirituali del passato chiamavano questa tentazione l’amor proprio, ma oggi questo amor proprio, come tutte le tentazioni, assume sfumature diverse e inedite: prestigio, successo, la ricerca di persone influenti, appoggio dei mass media. La cosa importante, in questa dinamica dell’anima, è impressionare coloro che si desidera raggiungere. E perfino manipolarli. In questo modo si vendono sia le ideologie sia gli articoli di consumo. Noi tutti, in un certo senso, soffriamo se non apparteniamo a queste persone che contano o che sanno influenzare gli altri, con la potenza del loro nome e della loro carriera.

I testi della liturgia di questa domenica, al contrario, ci mettono in guardia contro questo spirito del «mondo» che si fa avanti a forza di propaganda o di visibilità a tutti i costi. «Ecco – recita il brano di Zaccaria (9,9-10) – a te viene il tuo re, umile». Infatti, in Palestina, dopo le clamorose vittorie di Alessandro Magno e di fronte a questo conquistatore potente e abilissimo, la gente è ammirata e atterrita. Ma Dio annuncia che manderà al suo popolo un ben diverso re che entrerà a Gerusalemme non già su un cavallo di guerra, bensì su un asinello. La cavalcatura dell’uomo semplice e pacifico. Stupefacente paradosso che Gesù incarnerà, nella sua vita pubblica e nel suo messaggio, con disarmante luminosità e ricchezza di significato. Il brano di Matteo, in effetti, raccoglie uno dei momenti più alti di tutta l’esperienza terrena e spirituale di Gesù: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25-26).

Di fatto, a metà della sua vita pubblica e della sua predicazione, Gesù, per dirlo in modo molto concreto, sta facendo l’esperienza decisiva del suo fallimento presso Israele. La sua parola, che annuncia il Regno di Dio – ossia Dio vuol diventare nostro padre, e chiama tutti a vivere come suoi figli – viene respinta proprio da coloro che avevano il nome di Dio sempre sulle labbra, mentre suscita la trepida ammirazione della gente semplice, cioè sofferente ed emarginata. Gesù, tuttavia, non recrimina ed anzi esplode in un grido dell’anima colmo di gratitudine e ammirazione circa il vero volto di Dio. Un grido che svela davvero le profondità di Dio e che nessun commento umano potrà mai esaurire: il Signore del cielo e della terra, a differenza dei sapienti e degli intelligenti di questo mondo, possiede un cuore mite ed umile. Come Gesù.

Non è un tiranno che impone il suo potere o il suo arbitrio, ma il Padre che custodisce la dignità e la libertà dei suoi figli, anche dei più anonimi agli occhi del «mondo» che conta e di cui questo mondo non sa, dopo tutto, che cosa farsene. E con un grido, altrettanto splendido e incoraggiante, Paolo, nella sua lettera ai Romani, fa eco allo stesso grido di Gesù: «Voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi» (Rm 8,9-11). Sì, lo Spirito dell’amore e non del potere, poiché nessun peso è più dolce e leggero dell’amore, anche di fronte alle difficoltà della vita o al fardello dell’emarginazione o dell’insignificanza sociale.