Il servo sofferente ci dice: «Chi vuole seguirmi prenda la sua croce»

DI GIACOMO BABINI Vescovo emerito di GrossetoLetture del 13 settembre, 24ª domenica del Tempo Ordinario. Nelle letture di questa domenica si parla della identità umana del Messia e di conseguenza del cristiano. Lo si chiama «il Servo sofferente». Viene così definito dalle parole di Gesù e illustrato profeticamente da Isaia. Non è del tutto semplice accogliere questa realtà umano divina, ma è questo il Messia nel quale il Cristiano crede e del quale vuol essere il discepolo. II Lettura: «La fede solo per se stessa è morta»La fede cristiana è autentica solo quando mobilita la vita. Con un semplice tenere per veri alcuni dogmi insegnati dalla Chiesa, non si è fatto ancora molto di cristiano. L’intera vita secondo la fede cristiana deve rispondere alla chiamata di Dio e si esprime attraverso una problematica quotidiana di cambiamento e di conformità all’insegnamento di Gesù. Così nella seconda lettura S. Giacomo parla della vita umana guidata dalla fede in Cristo. L’obbedienza di Abramo è il segno più deciso perchè non esita a donare tutto compreso, se necessario, il figlio della promessa. La fede senza le opere è morta. Non c’è fede la dove si rimane indifferenti rispetto alla fame e alla nudità del fratello. Lo stesso Paolo afferma che con la fede vive l’amore, e una fede senza amore è morta. (Gal 5,6) Vangelo: «Prenda la sua croce su di se e mi segua»Certamente Pietro alla domanda di Gesù su cosa i discepoli pensassero di Lui, ha dato una risposta giusta, ma ancora deve comprendere altre cose e la sua risposta è consapevole a metà. Sì tu sei il Messia, ma un Messia come se lo rappresentano sicuramente la maggior parte dei discepoli: come un taumaturgo che libererà dai romani Israele soggiogato. C’era allora in Israele una potente teologia della liberazione, non solo diffusa presso gli zeloti che combattevano attivamente. Nell’istante in cui emerge il termine Messia, Gesù blocca il discorso, proibisce ai discepoli di diffondere in qualsiasi modo quel titolo; al contrario annuncia loro, sempre per la prima volta, la sorte del Figlio dell’uomo: molto dolore, riprovazione, uccisione e risurrezione. Pietro, che non vuole sentire nulla di questo, viene allontanato come «satana», seduttore e avversario.

Qui Gesù svela la vera dimensione della sua opera redentrice, un impegno che con l’aiuto della grazia dovrà assumersi chiunque voglia seguirlo come discepolo. Qui l’insegnamento di Giacomo sulla fede e sull’opera si fa davvero stringente. Una fede senza l’opera della passione non è una fede cristiana. Una fede che vuole salvarsi e non perdere nulla di questa vita, perderà tutto. Volersi salvare senza amore è un egoismo puramente umano e istintivo.

Qui sta il nucleo dell’azione intesa dall’apostolo Giacomo, senza di cui la fede è nulla: azione della completa dedizione di se stessi, sia a Dio, sia al prossimo. Questo è l’insegnamento e insieme è stato il comportamento di Gesù.

I Lettura: «Una autorevole profezia»La prima lettura parla di questa perdita di sé nella immagine del Messia «Servo di Dio» il quale si esprime nella totale obbedienza e fiducia in Dio.

Non sfugge dai suoi nemici che lo percuotono, gli strappano la barba, imbrattano la sua faccia con sputi, lo mortificano con ingiurie. Dio gli dà la forza di rendere la sua faccia dura come pietra. Egli sa che in questo suo soffrire obbedisce e che Dio, accetta il suo sacrificio e non lo abbandonerà mai.

Certamente si compie una «causa giuridica» che ingloba tutto il mondo, un processo che secondo Giovanni (16, 8-11) viene condotto dallo Spirito Santo e che si conclude con la vittoria del Servo di Dio, del Figlio risorto e che ritorna al Padre.