Il retto uso del tempo
1.I Dodici, su cui è fondata la Chiesa apostolica come compagnia dei chiamati e degli inviati, sono invitati da Gesù a condividerne un tempo di distanza da una folla che ininterrottamente si accalca attorno a loro al punto di non aver tempo neppure per mangiare. Un andirivieni stancante che domanda distacco e riposo (Mc 6,31-32), e più in generale una riflessione sul retto uso del tempo.
2.Evangelicamente vivere bene il tempo significa tra l’altro imparare a distinguerne i momenti, le fasi, le stagioni. Il momento della solitudine: «Gesù disse loro: venite in disparte, in un luogo solitario…Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario in disparte» (Mc 6,31-32). La stagione della compagnia: «Gesù chiamò i Dodici ed incominciò a mandarli a due a due…ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse» (Mc 6,7.12). Il momento dell’amicizia: «Ne costituì Dodici che stessero con lui» (Mc 3,14). Tema particolarmente caro a Giovanni: «Non vi chiamo più servi ma amici» (Gv 15,15). Ciò vale per i Dodici e per tutti i discepoli amati di ogni epoca e latitudine rappresentati dai tre di Betania: «Gesù voleva molto bene molto bene a Marta, a sua sorella Maria e a Lazzaro» (Gv 11,5). Un Gesù maestro di sapienza nel suo insegnare a discernere e a non a trascurare nessuna di queste dimensioni del tempo, una iniziazione che è racconto di quanto egli ha vissuto. Una esistenza, la sua, e le citazioni evangeliche si sprecano, ritmata da tempi di solitudine al cospetto di un Padre a lui rivelazione di «cose nascoste sin dalla fondazione del mondo» (Mt 13,35), da tempi di compagnia: «Percorreva i villaggi d’intorno, insegnando» (Mc 6,6) e da tempi di amicizia: «in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa» (Mc 4,34).
Ciò che Gesù apprende nel silenzio lo annuncia in pubblico e lo approfondisce nella casa della sapienza con i suoi, una trilogia inscindibile senza la quale non si dà retto uso del tempo, solo al discepolo capace di solitudini aperte all’ascolto vengono date le giuste parole da proclamare in piazza. Inoltre vivere bene il tempo significa apprendere a coglierne il segno nella commozione: «Gesù vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose» (Mc 6,34).
Il Gesù della solitudine nella solitudine ha appreso il come abitare la compagnia umana: in lucidità, in commozione e in azione. La lucidità di chi sa individuare i reali bisogni, nel caso una folla affamata di orientamento e priva di punti di riferimento. Questo vuol dire discernere il segno del tempo. La commozione di chi si lascia interpellare dal bisogno dell’altro avvicinandolo mosso da una passione d’amore viscerale, una compassione attiva nel caso tradotta in trasmissione di sapienza.
In Gesù il tempo cronologico è convertito in tempo di grazia, in lui e in quanti fanno di lui il pastore delle proprie anime (2 Pt 2,25), la guida all’acquisizione di un occhio di discernimento e di un cuore compassionevole tradotti in gesto, il dare da mangiare pane o sapienza: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37).
3.La lezione che emana dalla pagina evangelica è altamente eloquente. Il discepolo sa che il tempo è un dono di cui ringraziare e da riscattare trasformandolo in «tempo di solitudine», il momento del faccia a faccia personalissimo con lui nell’ascolto (Lectio divina) e il momento del pasto con lui nella distensione dell’amicizia ecclesiale (Fractio panis), e in «tempo di giustizia». Quello contraddistinto da una forte tenerezza nell’attenzione al gemito di quanti invocano vie d’uscita alle fami che minacciano la loro quotidiana esistenza. Un diritto che interpella tutto il nostro dovere a vedere, a consoffrire e ad agire. Mai sottovalutando la profonda unità tra e circolarità tra i due momenti: dalla solitudine contemplativa alla compagnia attiva nell’agape, il momento della consapevolezza dell’essere inviati, e dalla compagnia attiva alla solitudine contemplativa, il momento assolutamente gratuito nel riposo e nel grazie con il Tu che ci ama, che quotidianamente ci restituisce alla consapevolezza della propria verità di amati per amare e che ci ricorda che una solitudine senza sbocco nella compagnia sfocia nella malattia dell’isolamento e che una compagnia senza solitudine che pensa e prega sfocia nella malattia della omologazione smarrito il sale evangelico.