Il regno di Dio riguarda la vita di ogni giorno
Nella doppia parabola del seme che ascoltiamo nel Vangelo di oggi (Mc 4,26-34), siamo invitati a una contemplazione, per così dire, sapienziale di questa vicenda. Rimane in ombra il «come» possa svilupparsi dal seme la spiga e poi il chicco, e un grande albero dal piccolo seme, ma ciò che conta è che invece tutto questo accade. Il contadino è perfettamente in grado di gestire il suo campo pur non conoscendo nei dettagli tutte le singole fasi del processo.
Così, come narrato in altre parabole, la donna sarà capace di impastare la farina e il lievito (cf. Lc 13,21), il fattore potrà prendersi cura del fico stentato concimandone le radici (cf. Lc 13,8-9), il pescatore riconoscerà i pesci buoni e cattivi forte della sue esperienza anche senza una laurea in zoologia (cf. Mt 13,48). Questo discorso non per banalizzare le importanti conquiste della scienza e della tecnologia e l’evoluzione del pensiero umano, ma per ricordarci che nessuna conoscenza che si atomizza in particelle sempre più piccole e che finisce col perdere il contatto con la realtà ha davvero significato. Oggi forse siamo in grado di capire meglio quali pericoli si possono nascondere dietro questa perdita di contatto con la realtà, vivendo in una società dove i rapporti, le relazioni con gli altri, la conoscenza sono sempre più virtuali, mediati dalle nuove tecnologie che forniscono possibilità impensabili fino a ieri, l’accesso a contenuti sterminati, al punto che si parla di realtà aumentata, ma con il rischio che sia proprio quest’ultima ad essere fagocitata e distorta. Il regno di Dio, invece, mantiene una certa indisponibilità, i suoi codici non si possono clonare né riprodurre, non per una gelosia di Dio nei nostri confronti ma perché ne sia preservata tutta la sua originalità e freschezza.
Questo potrebbe dare adito, da parte nostra, a una risposta stizzita, come nella celebre favola della volpe e dell’uva: il regno non ci interessa, abbiamo altro a cui pensare, sono discorsi e basta, o annoiata, come gli ateniesi a Paolo: «ti ascolteremo un’altra volta!» (cf. At 17,32). Il fatto è che l’annuncio del regno che viene non è esattamente uguale a credere che tutto finirà bene e sboccerà in questo mondo come luce del mattino. Esso si inserisce nella storia e in tutti i suoi rivolgimenti e contraddizioni: se leggiamo l’intero capitolo di Ezechiele che contiene il brano della prima lettura di oggi (Ez 27,22-24) vedremo che l’annuncio che vi troviamo, il ramoscello che diviene albero, luogo di vita e riposo, il piccolo resto che diviene seme di un popolo nuovo, si interseca con le scelte compiute nella vita di ogni giorno, le alleanze e gli scontri, i progetti e i fallimenti dei singoli e delle società. Anche in questo caso il contatto con la realtà è determinante, non è questione di ottimismo o pessimismo, meno che mai essere maneggioni o fatalisti. La tessitura di impegno personale e progettualità come ordito di una trama fatta di affidamento e fiducia radicale in Dio rende davvero unica l’esperienza di vita cristiana, quell’atteggiamento sapienziale di cui sopra che è capace di unire realtà in apparenza contrastanti. È quanto esprimeva chiaramente e in maniera assai efficace S. Ignazio nel suo suggerimento: «agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio», esercizio sempre utile per evitare scorciatoie rassicuranti, luoghi comuni elevati a principi assoluti , e vivere con la pazienza e la tenacità del contadino fedele alla terra e ai suoi ritmi, anche quelli più nascosti e silenti.
*Cappellano del carcere di Prato