Il male, un mistero da far diventare occasione di conversione

Letture dell’11 marzo, 3ª domenica di Quaresima: «Io-Sono mi ha mandato a voi» (Es 3,1-8.13-15); «Il Signore ha pietà del suo popolo» (Salmo 102); La vita del popolo con Mosè nel deserto è stata scritta per nostro ammaestramento» (1 Cor 10,1-6.10-12); «Se non vi convertirete, perirete tutti allo steso modo» (Lc 13,1-9)

DI BRUNO FREDIANISi riferiscono a Gesù due fatti dolorosi accaduti proprio in quei giorni; una sommossa contro i Romani, soffocata nel sangue da Pilato e il crollo di una torre, nel quale avevano perso la vita diciotto passanti. La tendenza naturale della gente è quella di scorgere nella sventura un castigo di Dio. Una certa immagine di Dio, non ancora del tutto superata, Lo vede come un giudice severo che ricompensa i giusti e punisce i cattivi fin da questa vita. L’infelice, secondo questa visione, è un colpevole, un peccatore; mentre chi ha soddisfazioni e successo può considerarsi non solo a posto, ma addirittura superiore agli altri, perché protetto da Dio.Gli apostoli, una volta, vedendo il cieco nato, avevano domandato a Gesù: «Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». E Gesù aveva dato questa risposta così liberatrice: «Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio» (v, Gv 9,1).

Nessuna delle vittime dei due incidenti era peccatore al punto da meritare una tale morte, ma «se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo». Il male non si spiega, resterà sempre un mistero; ma il credente deve farne un’occasione di conversione e di amore.

Capita spesso di incontrare persone che vivono l’esperienza del dolore, della malattia o della sventura con la persuasione di essere responsabili della loro condizione, e che non resta loro altra via che quella della sopportazione, perché pagano meritatamente il castigo per un peccato che talora nemmeno conoscono: «Cosa avrò fatto di male, per meritare dal Signore un castigo così pesante?».

Spesso questo senso di condanna è causa di un blocco che non consente alla persona di dare un’impostazione nuova alla propria vita.

Ci domandiamo: perché tanti innocenti muoiono per le guerre, per la miseria e la fame in Africa, per l’aids… Gesù dice che tutto questo non avviene per una fatalità a cui possiamo solo rassegnarci: dobbiamo cambiare: raccogliere le sfide che ci provengono da questi fatti per avviare un processo di conversione personale e sociale, per evitare un processo che ci porta all’autodistruzione.

Dio non punisce. Dio perdona, è indulgente, sa attendere anche i nostri tempi, di solito così lenti a capire e a prendere atto della realtà. La parabola del fico sterile ci presenta Dio non come un padrone esigente e impaziente, ma come un buon vignaiolo, che intercede per noi, che ci fa beneficiare di una dilazione, che ci lavora sempre con la sua grazia e la sua parola e che continua ad aver fiducia in noi e a sperare da noi, quando tutti si sono scoraggiati e irritati.

È proprio l’immagine di Dio che noi annunciamo, soprattutto ai piccoli, ai sofferenti, ai provati dalla vita e dalla storia, con le nostre parole e i nostri comportamenti ad essere messa in discussione da questa Parola. L’Eucarestia, il pane, la parola e la comunità, è la grazia che Dio pone alle radici della nostra vita, perché possa dare frutti d’amore. di accoglienza e di speranza.

Il tempo della Quaresima potrebbe essere questa dilazione, questo periodo di grazia e di rinnovamento, questa nuova possibilità, dataci da Dio, per non continuare a distruggerci e per aprirci ad una nuova vita.