Il filo d’oro da cui dipende la vita
1. La cultura occidentale nel suo definire l’uomo un animale razionale, sociale e mortale soggetto al rischio della volontà di potenza, della libidine della merce e della dittatura dell’istante che induce, in nome del potere e del dovere consumare tutto e subito, a dimenticare passato e futuro, ha tralasciato un termine importante: amore. È un dato di fatto che il vocabolario dell’amore raramente figura tra gli elementi costitutivi e identificativi della persona umana e della convivenza umana. «Questo vuol dire allora che il centro della realtà per noi, il centro dell’essere umano, il centro della convivenza con gli altri, normalmente nell’occidente non è stato pensato nel segno dell’amore» (R.Mancini). Con un crescendo raramente di disumanizzazione in atto che domanda una nuova etica in grado di riattivare il «principio responsabilità»: «Agisci in modo che gli effetti della tua azione di oggi siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana domani» (H.Jonas); principio che racchiude in sé il «principio speranza» (J.Moltman), il cui oggetto è proprio la non disperazione circa la possibilità dell’umanizzazione dell’esistere. Un non luogo se a suo fondamento non viene posto il «principio amore». Aspetto assolutamente centrale nella prospettiva ebraica e cristiana, da costituire il suo specifico contributo nella definizione dell’uomo e nella strutturazione del suo vivere sociale. È in questa ottica che leggiamo la pagina evangelica di oggi a partire dal che cosa dice il testo e successivamente dal che cosa dice per noi.
2. La pericope matteana risente di un clima di disputa e di complotto nei confronti di Gesù, un contesto di polemica «che tende a presentare i farisei come i veri oppositori di Gesù, non tanto su una base ideologica, quanto sulla base delle relazioni conflittuali tra farisei e giudeo-cristiani dopo il 70» (A.Mello). Ideologicamente Matteo sa bene che la risposta di Gesù alla domanda che gli viene posta non si discosta nella sostanza da quella dei farisei, come da parte sua sottolinea bene Marco a conclusione del medesimo episodio: «Gesù, vedendo che (lo scriba) aveva risposto saggiamente, gli disse: Non sei lontano dal regno di Dio» (Mc 12,34). Ma l’evangelista sa altrettanto bene che i giudeo-cristiani, soprattutto a partire dalla distruzione del Tempio, stanno vivendo giorni di forte contrasto con componenti del giudaismo farisaico, fino all’ esclusione e alla separazione. Un dato di fatto che influisce nella stesura di eventi e di diatribe del passato in cui erano coinvolti Gesù e i farisei, quest’ultimi alla luce del presente descritti come il prototipo dell’avversione a Gesù, il paradigma di un accostarsi a lui non per capire ma per trarre in inganno sperando in risposte che lo colgano in fallo. Emblema dunque di un mondo dal cuore doppio da un lato esperto in dottrina sull’amore e d’altro lato esperto in non pratica di amore, sia nei confronti di Gesù che dei suoi discepoli: «dicono e non fanno» (Mt 23,3). Contraddizione a ben vedere, se vogliamo esseri seri, che investe ciascuna Chiesa e ciascuna denominazione religiosa sotto il sole se appena attente alla loro storia, un conto è discorrere d’amore e un conto è il praticare amore, e mentre si teorizzano inclusioni si complottano esclusioni e scomuniche dei diversi dai molti nomi. Precisazioni necessarie per un testo non a caso collocato in una sezione del Vangelo in cui i lettori-uditori sono posti dinanzi a questioni fondamentali: l’autorità politica (Mt 22,15-22), il dopo morte con l’interrogativo se vi sia o meno risurrezione (Mt 22,23-33) e quale sia il comandamento base che orienta il cammino dell’uomo (Mt 22,34-40).
Questa la domanda da parte di un dottore della Legge a nome della assemblea o sinagoga dei farisei: «Maestro, qual è il più grande comandamento della Legge?». Interrogativo consueto nell’ebraismo farisaico abituato sia a distinguere fra precetti «leggeri» e quelli «gravi» (Mt 5,19; 23,23) che a riassumere il tutto della Legge in un unico principio, la «regola d’oro» (Mt 7,12), il nucleo che tutto sostiene, da cui tutto deriva e a cui tutto rimanda, il filo d’oro che tutto unifica. Precisamente le 613 prescrizioni della Torah-Legge, di cui 248 come le componenti del corpo sono comandi positivi e 365 come i giorni dell’anno sono divieti, a voler dire che la Legge va osservata ogni giorno con tutto il proprio essere, prova d’amore verso Dio. Il Maestro interpellato non si sottrae ad una risposta volutamente articolata. In primo luogo la fonda sulla tradizione, precisamente Deuteronomio 6,5 riprendendo dall’ «Ascolta» (Shema’) il comandamento dell’amore per Dio, e Levitico 19,18 relativamente all’amore per il prossimo.
In secondo luogo Gesù riconosce l’esistenza di una gerarchia tra i precetti: il primo e il più grande comandamento consiste nell’amare con tutto il cuore, l’anima e la mente colui che ti ha amato per primo. È questione di gratitudine. Il secondo poi è simile, speculare e non separabile dal primo: «Amerai il prossimo tuo come te stesso». Amare Dio include costitutivamente amare coloro che egli ama, coinvolti nel suo amore per tutti e per ciascuno. A questi due comandamenti inscindibili, conclude Gesù, « sono appesi la Legge e i Profeti». Questo è il nucleo che regge il tutto e il filo d’oro che attraversa il tutto, il resto è sua esplicitazione e suo racconto in ogni circostanza della vita. L’esistere in questa prospettiva poggia su tre pilastri: Dio ti ama, tu gli rispondi riamandolo e amando contestualmente chi egli ama, l’altro donato a te come tuo prossimo, come tuo vicino di cui prendersi cura.
3. L’originalità di questa prospettiva è evidente. Il vocabolario dell’amore entra a pieno titolo nella definizione dell’uomo, «un amato da un Dio riamato», e in quella della convivenza umana, « un insieme di alleati che si amano». Questa la via maestra della umanizzazione che i cristiani devono assumere con responsabilità ponendo razionalità, ruoli, e istituzioni al servizio di un amore non frainteso. Non identificato con l’emozione, l’attrazione e la passione irrazionale ma con la libera decisione del prendersi cura del bisogno reale dell’altro a imitazione di Dio in Cristo. Appesi a questo filo d’oro.