Il Figlio dell’Uomo «riprovato» dagli uomini

Letture del 17 settembre, 24ª domenica Tempo ordinario B: «Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso» (Is 50, 5-9a); «La fede, se non ha le opere, è morta» (Gc 2,14-18); «E cominciò ad insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire ed essere riprovato dagli uomini, dai sommi sacerdoti e dagli scribi»( Mc 8, 27-35).

DI BERNARDINO BORDOSingolare questo cambiamento di tono, nelle letture liturgiche della terza domenica settembrina. Forse il liturgista si riallaccia alle preoccupazioni pastorali dell’inizio del periodo estivo, facile alla dissipazione e intende riproporci quanto di più impegnativo caratterizza il cammino spirituale, come condivisione generosa e costante della passione di Cristo.

Il profeta d’Israele sa che Dio lo assiste; e questo solo gli basta per fronteggiare chi lo maltratta, chi lo copre di insulti e di sputi, anticipando in forma misteriosa ciò che accadrà realmente al Salvatore di cui sta predicendo la passione (prima lettura).

In questo modo la sequela non si accontenta più di una fedeltà a pratiche cultuali che, se non motivate da fede consapevole, rischiano di risolversi in una ripetizione meccanica di formule e di gesti, ma cerca un genere di adesione al progetto divino,che si manifesta nelle opere: sia quelle dell’assistenza ai poveri e ai sofferenti, sia, e molto più, quella che comunica ai fratelli la stessa luminosità di fede che riconsegna alla speranza gli sfiduciati e alla gioia dell’adesione a Cristo, sempre esposta a soccombere sotto il peso di prove particolarmente dure (seconda lettura).

L’esemplare si staglia davanti, all’interno del brano di Marco che ci propone la liturgia di questa domenica: Il Figlio dell’uomo riprovato da quegli stessi uomini che sono stati creati per mezzo di lui, per salvare i quali si è incarnato. «Riprovazione» richiama da vicino la «pietra rigettata» del salmo 118, 22 (terza lettura).

Nel salmo sono i costruttori, quelli stessi, cioè che dovrebbero attendere alla edificazione del tempio, del popolo di Dio; in Marco sono «gli anziani, i sommi sacerdoti e gli scribi» che, dopo una iniziale speranza d’inserire Cristo nel loro sistema religioso privo di vita, arrivano ad insidiarlo, e, in ultimo a combatterlo e ucciderlo. Marco inverte solo apparentemente i tre ordini del sinedrio ebraico, che di solito vengono inventariati: sommi sacerdoti (quello in carica e quelli emeriti, più gli altri della casta sacerdotale), gli anziani, o notabili, gente benemerita della nazione per opere di beneficenza, e gli scribi, i professionisti della scrittura. Al tempo di Gesù generalmente quest’ultimi attendevano anche all’insegnamento religioso e, per questo, chiamati rabbini (da rab, cioè signore, in un primo tempo, poi maestro, rabbuni, maestro mio come griderà Maddalena al Risorto.).

Questa gente, invece di accettare Gesù e il messaggio di pace,di fratellanza universale, sotto la dolce paternità di Dio (verità del tutto estranee al loro insegnamento, perché estraneo alla loro condotta), lo avrebbero presto scomunicato, e, infine condannato a morte, assai prima del processo della parasceve dell’anno 30. «Gesù sapendo tutto ciò che stava per accadergli» (Gv 18, 4), ne preavvertì apostoli, discepoli e pie donne, insomma tutti e tre i gruppi di cooperatori che lo seguivano, perché vi si preparassero adeguatamente.

Sappiamo purtroppo che, allo scatenarsi della tempesta, non risultarono all’altezza del momento e non ressero alla prova.

Monito per ognuno di noi, se ci permettessimo di andare avanti senza profonde convinzioni di fede e altrettanto profonde esperienze di preghiera, di eucaristia e di virtù solide. La liturgia di oggi rappresenta un contributo efficace per raggiungere questi traguardi, in modo che l’azione dello Spirito Santo trovi spazi sempre più ampi in noi e più generosa adesione ai suoi impulsi interiori.