Il cristiano, un «folle» che si dona senza limiti

Da questa settimana, il commento alle letture della Messa domenicale è affidato alle suore contemplative Domenicane del monastero di Santa Maria della Neve e San Domenico a Pratovecchio. Il monastero si affaccia, con le sue antiche mura, sulla piazza centrale del borgo, sulle colline del Casentino.Il vangelo di questa prima domenica di Avvento dell’anno A ci invita a vegliare e attendere la «venuta del Figlio dell’uomo» (Mt 24,37). Il testo si trova nel discorso escatologico dell’evangelista Matteo. Questo genere di discorsi di Gesù non rientra nelle nostre preferenze: ci ricorda una realtà cui evitiamo di pensare. Eppure, ci dice che la nostra vita è attesa di quella festa che Dio ha preparato per noi e cui siamo stati ufficialmente invitati in Cristo, con la sua morte e resurrezione. Scrive Giacomo Leopardi della giovinezza: «Garzoncello scherzoso, cotesta età fiorita è come un giorno d’allegrezza pieno, giorno chiaro, sereno, che precorre alla festa di tua vita» (G. Leopardi, Il sabato del villaggio). Ebbene, il cristiano è pieno di gioia perché sa che la sua vita è il «giorno chiaro, sereno» che precede la festa che non avrà fine. E l’attesa di una festa, si sa, non fa stare nella pelle!

Nel vangelo, Gesù fa riferimento ai tempi di Noè e del diluvio. E come le acque del diluvio sommersero tutti così, oggi, la grazia di Dio, effusa nei cuori col battesimo, riveste ogni uomo e ogni creatura: è la nuova creazione inaugurata da Cristo. Allora, dice Gesù, «due uomini saranno nel campo: uno verrà preso e l’altro lasciato» (Mt 24,40). Sta parlando della parusia, di ciò che avverrà quando egli tornerà, alla fine dei tempi, in tutta la sua gloria. Ma non solo.

Con l’incarnazione del Verbo, e la sua morte in croce, l’uomo ha ricevuto una nuova capacità di amare: egli è ricreato e gli è donata la stessa vita divina. Con Gesù, quindi, l’umanità si trova di fronte a una scelta ormai inevitabile: o con lui o contro di lui. Di qui, la separazione di cui ci parla il vangelo: divisioni fuori di noi ma, innanzitutto, dentro il cuore. Urgono scelte radicali e forti. Tutto, infatti, è come avvolto dalla grazia divina, tutto è illuminato dallo splendore dalla luce di Cristo, ma proprio questa effusione universale e gratuita della grazia attende risposte pronte, radicali, libere.

La prima lettura annuncia che alla fine dei giorni alla guerra si sostituirà la pace, alla morte la vita, alla paura la consolazione. Questa promessa si realizza già oggi se ti rivesti di Cristo (cfr. Rm 13,14), attraverso l’amore. La sconfitta di ogni guerra e la conquista della pace, allora, inizia dentro il tuo cuore. Non si tratta di compiere grandi opere, ma di rivestire di amore ogni azione, ogni contrarietà, ogni incontro. Di approfittare di tutto per amare. Allora, ecco perché la salvezza è vicina: perché è dentro di te. Quando ami, Cristo ti abita. E Cristo è luce. Quando ti abita, allora, Cristo ti dona luce e conoscenza e ti rende luce. La luce è invisibile, eppure illumina ogni cosa e da lì ti accorgi che c’è. La luce c’è per far esistere, per dare vita, colori, bellezza. Allora, più sei luce, più sarai fecondo. Se sei luce, sei anche gioia e speranza, sei vita e porti vita. E se Gesù ti abita, attraverso te abiterà anche chi ti sta accanto.

Il cristiano è chiamato ad amare smisuratamente. Egli ha la meravigliosa libertà di non avere limiti nell’amore, di non innalzare barriere, di donarsi senza calcolo. Il cristiano è un «folle» perché non si accontenta mai di quanto riesce ad amare ma è anche felice della sua inadeguatezza: egli sa che tutto riceve da Dio e che senza lo Spirito è incapace del più piccolo atto d’amore. È folle perché ricambia il male con il bene e tutto è per lui opportunità di amare di più. L’amore smisurato, però, può scaturire solo da un cuore limpido: il cuore di chi si comporta «onestamente, come in pieno giorno» (cfr Rm 13,13) e indossa «le armi della luce» (Rm 13,12). Per diventare così luminosi, è richiesta una profonda purezza di pensieri, intenzioni e parole.

Il profeta Isaia parla di un sogno che può apparire stravagante alle nostre menti razionali: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (Is 2,4). È un sogno per cuori semplici che hanno spazzato via da sé ogni doppiezza, «orge e ubriachezze», «lussurie e impurità», «litigi e gelosie» (Rm 13,13). Chi vive Cristo, diventa così: ingenuo agli occhi del mondo, limpido e sapiente davanti a Dio. Come Gesù, che non scelse la strada della grandezza, ma si fece piccolo e povero, per portare a ogni uomo l’abbraccio sconfinato ed eterno del Padre.

Suor Mirella Caterina Soro