Il compimento della legge
Il vangelo che la liturgia oggi ci presenta (Mt 5, 17-37) si colloca nel quadro della predicazione di Gesù sul lago di Galilea, iniziata con la proclamazione delle beatitudini e che ci accompagnerà anche nelle prossime domeniche.
Quella sorta di «capovolgimento» incontrato nelle beatitudini che può averci sorpreso per il suo contrasto con l’esperienza umana (dove, per inciso, non pare esserci nulla di beatificante di quanto affermato), ma che diventa comprensibile nell’ottica della centralità della relazione con Dio nella vita dell’uomo, prosegue anche nel brano di oggi. Ad una prima lettura potrebbe sembrare la semplice riaffermazione di alcuni dettami della legge ebraica, magari depurati da comportamenti non consoni o eccessivamente lassisti.
Potrebbe essere una scelta di Matteo, che scrive a cristiani di provenienza giudaica, di non presentare il Cristo come un distruttore dell’impianto religioso e legislativo ebraico. È vero, però, che non si tratta neppure di un semplice restauratore, neppure nel senso più nobile del termine. Tutti i tentativi di classificare Gesù nella griglia delle correnti teologiche del suo tempo come progressista, moderato o reazionario non hanno alcun seguito: il dibattito sul ripudio (cf. Mt 19,3) o sulla tassa a Cesare (cf. Mt 22,21) ne sono un esempio. Cristo è colui che non abolisce la legge, né la riafferma, ma la compie. Compiendola, in qualche modo, si passa ad un livello diverso, si entra in un quadro di riferimento del tutto nuovo, come già sottolineato nelle Beatitudini, che permette di interpretare certi fatti, avvenimenti, esperienze di vita con un’ottica diversa. Si tratta di entrare in un’altra giustizia, non semplicemente in una giustizia più attenta o minuziosa. Da questo punto di vista, nonostante la cattiva fama probabilmente in gran parte immeritata, i farisei erano imbattibili. La legge, ogni legge, svolge una funzione, per così dire, classificatoria, delimita spazi e ambiti, possibilità e divieti. Di certo è una esigenza per la vita comune, una protezione dall’arbitrio del singolo sul gruppo e viceversa. La conseguenza è che questo aspetto di protezione, di «freno di emergenza» può frenare anche l’approccio globale alla vita, sminuzzandosi in precetti, cavilli che possono svuotare il senso stesso della legge, che può essere percepita come un armamentario pressoché inutile, appannaggio dei professionisti (come già avvenuto per la politica), e con il rischio sempre più alto di ritorno a una giustizia privata, istintiva e fai-da-te, come tragicamente emerso anche in questi giorni.
Se Gesù compie le scritture, se egli è il compimento dell’intera creazione che assume in sé come Capo del corpo (cf. Ef 1,23) una realtà nuova è nata. Dal seme nasce il frutto pieno nella spiga: (cf. Mc 4,2) è sbocciato qualcosa di nuovo. Ecco che anche Matteo, nel suo discorso sulla legge, ne sottolinea il riferimento a Cristo: «ma io vi dico…». Egli non sostituisce un articolo ad un altro, ma ne fa sbocciare il senso vitale per l’uomo. Non c’è da fare o non fare quella o quell’altra cosa, c’è da essere in un certo modo: portare alla luce le ragioni del cuore nel rapporto con i fratelli, liberarsi dalla tirannia del desiderio, vivere una liturgia che non sia un vuoto rito, una veracità che non ha bisogno dei puntelli del giuramento, una «legge» che ha la sua ragion d’essere nella promozione della vita e della fantasia che lo Spirito dischiude al cuore dell’uomo.
*Cappellano del carcere di Prato