Il Buon pastore

DI GIACOMO BABINI Vescovo emerito di Grosseto3 maggio, 4ª Domenica  di Pasqua.  Questa  Domenica è dedicata alla conoscenza di Gesù attraverso l’immagine del Buon Pastore. Si evidenzia la identità del Pastore sia in se stesso sia nel rapporto con le «pecore» del suo gregge e ai doni che fa loro.  L’immagine del Buon Pastore rivive in tutti i «padri» delle piccole o grandi comunità della storia del popolo cristiano. Vangelo: «Il Buon Pastore dà la sua vita per le pecore» La parabola di Gesù che parla di un buon pastore, per quanto realisticamente raccontata, riceve tutta la sua forza di dedizione solo in lui, il Pastore assegnato da Dio agli uomini. Due contrassegni vengono nominati: anzitutto il pastore che si prende a cuore il gregge fino alla morte, quindi una conoscenza reciproca tra pastore e pecore, la cui profondità viene ancorata nel mistero più intimo di Dio. Della dedizione fino alla morte si parla dal principio e alla fine del Vangelo. Questa dedizione sta in opposizione alla fuga del «mercenario», che nel pericolo ha la buona idea che una vita umana è più preziosa di quella di un animale irragionevole. A tavolino  il mercenario può anche dimostrare di essere buon pastore. Ma di fronte al lupo le cose si chiariscono subito: il mercenario fugge, il pastore rimane. Al pastore le pecore stanno a cuore a tal punto da preferirle alla propria vita.

Nell’ambito puramente naturale ciò è difficilmente concepibile, ma nell’ambito della grazia diventa la verità centrale, perché diventa comprensibile solo con l’aiuto delle altre parole della parabola: il fatto che il pastore conosce le sue pecore e queste pure istintivamente lo conoscono è per Gesù soltanto il punto di paragone per una tutt’altra conoscenza: «Come il Padre conosce me e io conosco il Padre».

Qui non si tratta affatto più di istinto, ma della più profonda reciproca conoscenza, come essa è nell’assoluto amore trinitario. E se Gesù applica questa suprema conoscenza d’amore all’intima reciprocità tra sé i e i suoi, egli solleva questo rapporto molto in alto sopra quella suggerita dalla parabola. E così si fa anche chiaro che il primo aspetto della parabola (dono della vita per le pecore) e il secondo (conoscenza reciproca) si trovano non l’uno accanto all’altro, ma l’uno dentro l’altro: poiché la conoscenza tra il Padre e il Figlio fa tutt’uno con il loro perfetto reciproco amore. Pertanto  anche la conoscenza tra Gesù e i suoi, implica l’unità di conoscenza e di dedizione della vita dei cristiani per il loro Signore.

I Lettura: Pietro ha appreso da Gesù il comportamento del  buon Pastore.Pietro nella prima lettura dà al Signore tutto l’onore per il miracolo che  lui ha potuto compiere nel suo nome.  Viene interrogato in nome di chi ha guarito il paralitico. Risposta:  nel nome di nessun altro se non  in quello della «pietra angolare (da voi) rigettata», perché unicamente in Gesù gli uomini possono trovare salvezza spirituale e qui anche corporale. Non tutti i custodi delle pecore, tranne Gesù sono solo «mercenari». Infatti a Pietro è stato assegnato dal Signore stesso il compito di pascere il suo gregge. Ma appunto: il gregge  è di Gesù non di Pietro, così che ogni cosa efficace e adeguata viene in ultima analisi compiuta dal Pastore unico (1 Pt 5, 4), anche se attraverso l’agire dei suoi collaboratori. Questa riflessione  ci deve riempire di  ammirazione  e di stima per tutti i pastori della Chiesa a cominciare dal Papa, per il loro insostituibile compito. II Lettura: Il  mondo non riesce a capire il rapporto di Dio con il suo popoloLa seconda lettura letta in questo contesto dice che il mondo non può intuire il rapporto tra Gesù e i suoi, ad esempio il rapporto di un papa o di un vescovo verso Cristo, suo Signore. Poiché il mondo non conosce Cristo, non può neppure vedere la Chiesa nella sua unità con Cristo, né misurare la propria distanza a suo riguardo. Ma la lettura va avanti ancora: neppure la Chiesa stessa, fin tanto che è pellegrina sulla terra, può intuire interamente questo rapporto tanto intimo e misterioso che si svelerà soltanto nella vita eterna. Là il rapporto tra  l’Uomo-Dio e la Chiesa verrà accolto nel rapporto trinitario senza risolversi in esso. Siamo chiamati a cose straordinarie nella terra nuova e nei cieli nuovi. Forti di questa speranza la morte corporale non ci dovrebbe spaventare più di tanto.