I farisei? Siamo noi quando parliamo e poi non facciamo
Con l’avvento e l’oligarchia dei media, il numero dei brillanti parlatori è aumentato notevolmente con il grande rischio di fermarci sulle parole, sui discorsi e non sulle azioni reali. Così, è diventato facile inebriarci delle grandi parole, persuaderci che con queste cambieremo il mondo, mentre in realtà ci accontentiamo solo di sognare ad occhi chiusi. Anche i cristiani, forse per effetto di questa cultura quasi onnipotente delle parole e dei discorsi, anzi delle opinioni personali, rischiano sempre di sperimentare in loro stessi quel divorzio tra Vangelo e vita tanto lamentato, a suo tempo, da Paolo VI.
Ed è significativa la parabola raccontata da Gesù nel Vangelo di questa Domenica. Egli parla del figlio che, all’invito del padre a recarsi a lavorare nella vigna, quasi risponde: «Ma non vedi che sono stanco e che non ce la faccio più?». Ma poi l’amore per il Padre prende il sopravvento e, pur brontolando, egli continuerà a lavorare. È di noi che sta parlando Gesù. Di noi che spessissimo siamo stanchi, quasi depressi per il troppo lavoro nella vigna di Dio e per i pochi risultati che otteniamo. Ma anche con sforzo, se mettiamo Dio al primo posto, meriteremo sempre l’immenso affetto di Dio per noi, come dice Gesù: è questo il figlio che, con i fatti, compie davvero la volontà del padre. Anche se siamo così, Dio ci vuole bene, è contento di noi e ci ringrazia perfino di ciò che facciamo per la sua Chiesa. E non a caso, gran parte del bene che si fa nel mondo, viene compiuto da persone che non stanno bene, che sono stanche, per una ragione o per l’altra. Ma per amore di Dio continuano a farlo. Fino all’ultimo.