I cristiani, quelli della «via»

Domenica scorsa nel commentare il brano di vangelo, mi soffermai sulle parole iniziali: «Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare». Queste poche parole mi permisero di riflettere un poco sulla preghiera di Gesù, sul suo significato e in che cosa potesse consistere. Da queste riflessioni trassi alcune conseguenze circa la nostra preghiera cristiana. Così facendo però, tralasciai di commentare altri due punti di quel brano, anzi tre: la domanda di Gesù agli apostoli su che cosa loro dicessero di lui; il primo annuncio della sua morte e risurrezione; infine, sulle condizioni da lui richieste a chi voglia mettersi alla sua sequela.

Il brano di questa domenica, fortunatamente, mi dà l’opportunità di rimediare almeno in parte. Nel brano, infatti, l’evangelista Luca ci dice della ferma decisione di Gesù di mettersi in cammino verso Gerusalemme, del rifiuto di accoglierlo da parte dei samaritani e della vendetta pensata dagli apostoli Giacomo e Giovanni, delle capacità interiori necessarie per pensare di poter seguire il Maestro.

Le parole più importanti del brano, anche oggi, sono le prime: «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme». Luca ci dice che, avvicinandosi «l’ora» della crocifissione e della resurrezione, Gesù s’incammina con forte determinazione, quindi, consapevolmente e volontariamente, verso Gerusalemme ove quegli eventi sarebbero dovuti accadere. Ciò significa che Gesù non ha subito «l’ora», ma l’ha scelta, vi ha aderito liberamente con tutto se stesso. Anche se nelle narrazioni evangeliche, Gesù appare come uno che è condannato, in realtà «si è donato» alla morte. Ed è per questa volontà che noi siamo salvi. Domenica scorsa, leggemmo che a Gesù, che chiedeva ai suoi apostoli «chi dite che io sia», Pietro rispose: «Tu se il Cristo di Dio».

Subito Gesù impose agli apostoli di non dirlo a nessuno, perché solo dopo la morte e la risurrezione, avrebbero conosciuto l’elemento essenziale della sua vera identità.

Gli studiosi della Bibbia e i teologi danno molta importanza all’espressione di Luca «Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» e alla parola «cammino». Questa parola è tanto rilevante che i primi seguaci di Gesù, erano chiamati «quelli della via». Cristiano, pertanto, è chi si decide a seguire Gesù sulla «via» che lo porta a Gerusalemme, facendo proprie le condizioni dettate da Gesù: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita [su questa terra] la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia la salverà [per l’eternità]».

Nel brano lucano che leggiamo questa domenica, Gesù approfondisce il discorso sulla sequela. Dopo averne detto con chiarezza le caratteristiche, ora va più a fondo e sembra rispondere a un interrogativo sottinteso che esprimo così: «Ma chi può aspirare a essere mio discepolo?», come dire che non basta volerlo, ma occorre verificare se possediamo l’attrezzatura giusta per farlo, cioè la mentalità idonea. In altre parole, non è sufficiente fare «ciò che» ha fatto Gesù, ma occorre farlo «come» l’ha fatto Lui, possedendo gli atteggiamenti «sostanziali» che vanno ben più a fondo di ogni singola opera. Gli atteggiamenti essenziali, quasi i «fondamentali del discepolo», richiamati oggi sono: la misericordia, la povertà, il primato assoluto di Dio, la rinuncia a se stessi e alle proprie opere.

Vediamo brevemente ognuno di questi atteggiamenti fondamentali che ci rendono possibile (se lo vogliamo) seguire il Maestro. Primo, la misericordia. Giovanni e Giacomo vogliono punire l’affronto fatto dai samaritani a Gesù non ricevendolo nel loro villaggio. Se non abbiamo un cuore misericordioso, non possiamo dirci «figli» di Dio-Amore e, proprio per questo, non si può non amare anche coloro che lo rifiutano. Secondo, la povertà fino a mancare di un tetto, fidandoci a colui che non fa mancare il cibo per gli uccelli e lo splendore ai fiori del campo. La povertà non è solo mancanza di cose anche necessarie, ma distacco affettivo da esse e, soprattutto, abbandono filiale al Padre. Terzo, il primato assoluto di Dio: niente e nessuno devono venire prima di Lui, fosse anche l’amore per il padre e la madre. Dio è da amare sopra ogni cosa e prima di ogni persona,  perché solo amando tutto e tutti in Lui, amiamo nel modo corretto. Infine, il distacco da noi stessi, non solo da ciò che abbiamo (la povertà), ma anche da quello che siamo diventati per le opere compiute, come se dicessimo: Signore, io ho già fatto, guarda,… In questo caso, il bene fatto ci impedirebbe di rispondere a una nuova chiamata . La parola di Gesù è chiara: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio». (So che questa interpretazione della risposta di Gesù non è corretta da un punto di vista esegetico, ma a me pare molto importante da un punto di vista di vita alla sequela di Gesù. Quante volte, difatti, non ci viene la tentazione di dire: «Basta, Signore!»?).

Di fronte a quanto ci dice il Signore, potrebbe nascere in noi un senso di frustrazione circa la possibilità stessa di dirci suoi seguaci sulla «via» che ci porta a Gerusalemme, alla Gerusalemme celeste. Non scoraggiamoci, tuttavia. Ci soccorra il pensiero che Gesù, la Madre sua, gli Apostoli e tutti i martiri e i santi hanno percorso la via e ora sono al termine della strada ad aspettarci. Confidiamo anche nella «spinta» dello Spirito che non mancherà di soffiare su di noi. Non dimentichiamo poi, che il cammino ha la caratteristica della progressività e anche della caduta, l’importante è che ci rialziamo e rimaniamo sulla «via» dell’adesione totale a Gesù crocifisso, fidandoci della sua parola: «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato [Dio Padre]: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa, infatti, è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Siamo nell’Anno della Fede. Ringraziamo il Signore di avercela donata e, anche nell’Eucarestia di oggi, chiediamogli con insistenza: «Signore, accresci la mia poca fede!», certi che non mancherà di farlo.