Giovanni Battista, uomo in bilico tra due epoche
Il brano evangelico di questa domenica di Avvento (Lc 3,1-6) si apre con una nota storico – geografica che crea una specie di reticolo per il tiro al bersaglio. Sembra quasi di vedere dall’alto questa porzione di paese con l’obiettivo che stringe sempre più il suo campo fino a individuare il termine dell’azione di Dio: Giovanni di Zaccaria sul quale scende la sua parola. Non si tratta di una scelta casuale, Dio ha ben chiaro la dislocazione dei vari poteri sul campo: quello politico, quello religioso, quello amministrativo dei signorotti locali, ma la Parola plana nel deserto. Forse non è del tutto improprio vedervi un richiamo all’inizio della creazione, con la terra deserta e lo Spirito che plana sulle acque (cf. Gen 1,2), in fondo l’opera della creazione trova una continua attualizzazione, e anche le valli che vengono colmate e le montagne spianate rimandano ad un’azione creatrice.
Il deserto è sempre un crocevia, dove nasce qualcosa di nuovo, luogo infido di serpenti e scorpioni ma anche luogo dell’ incontro con Dio (cf. Dt 8,15). A dir la verità, oltre a questo scenario geografico dove la parola scende su Giovanni, potremmo anche sottolineare un altro aspetto: la parola non solo viene su Giovanni, ma in qualche modo «si fa» in lui (viene usato lo stesso termine del Verbo che si fa carne – cf. Gv 1,14), in una sorta di incarnazione della parola. D’altra parte è così anche per altri profeti, che diventano in qualche modo la parola che annunciano, non si tratta solo di un compito, un contenuto da comunicare e basta (cf. Ger 20,9 ), solo che in questo caso Giovanni sembra essere un passo indietro, come pure in altre occasioni. Anzi, è proprio una sua caratteristica quella di essere uomo della soglia, uomo del passaggio, più grande tra i profeti, più piccolo nel regno (cf. Mt 11,11), perché l’epoca dei profeti si è conclusa. E infatti, al momento narrato da questo episodio, il Verbo già si è fatto carne e sta in mezzo al suo popolo anche se non è da questo conosciuto (cf. Gv 1,26 ).
E’ un po’ il dramma di Giovanni, quello di vivere sempre in bilico, circondato da aspettative che non può soddisfare perché lui non è quello che era atteso (cf. Gv 1,21-25 ), e perciò possiamo trovare in lui una sorta di patrono per noi che viviamo un’epoca di transizione. Come credenti rischiamo di trovarci fuori tempo perché l’epoca della profezia forse è conclusa anche per noi oggi: non si parla forse di crisi delle grandi narrazioni, non viene a volte mal sopportato il richiamo alla fraternità, alla pace universale, all’unità fra i popoli, come un concetto ormai sorpassato? E d’altra parte non possiamo neppure limitarci a scuotere le testa, a rimpiangere i tempi andati perché Dio, inaspettatamente, suscita novità là dove nessuno se lo aspetta.
Sappiamo che Dio è più avanti di noi, che la forza della resurrezione anima il mondo, lo sappiamo perché mille volte ci ha sorpreso che eravamo un passo indietro, facendoci domandare, come Giovanni farà: ma sei tu quello che deve venire (cf. Mt 11,3)? Mi aspettavo un’altra cosa, quello che ho annunciato ha sorpreso me stesso per primo; la Parola che pure mi ha investito ha già perduto il suo rivestimento per divenire qualcos’altro: una persona, con tutto il suo corredo di libertà e fantasia. E’ l’avvento che è sempre aperto, è colui che è già in mezzo a noi eppure sempre viene (cf. Ap 1,8).
*Cappellano del carcere di Prato