Gesù, un re capace di farsi servo per amore degli uomini

Letture del 20 novembre, Cristo Re: «Voi siete mio gregge: io giudicherò fra pecora e pecora» (Ez 34,11-12.15-17); «Tu mi conduci, Signore, nel regno della vita» (Salmo 22); «Consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15,20-26.28); «Si siederà sul trono della sua gloria e separerà gli uni dagli altri» (Mt 25,31-46)

a cura della COMUNITA’ DI SAN LEOLINO Celebriamo la festa di Gesù Re, la festa che chiude l’anno liturgico. Al tempo di Gesù c’erano molti dominatori assoluti dei loro popoli. Portavano scettri e corone, abitavano in palazzi magnifici, erano difesi da guardie armate. A loro si dovevano servizio e obbedienza, pena la vita. Ma Gesù prende nettamente le distanze da questo genere di persone e di autorità.

Nel Vangelo di Matteo, Gesù dice ai suoi discepoli: «Se uno vuol essere il primo, si faccia servo degli altri, come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la sua vita per la liberazione degli uomini» (20,28). Così, accettare la signoria di Dio significa diventare con amore e per amore servi suoi e degli altri, cioè fare il bene dei propri fratelli e sorelle. Il vero bene che è quello spirituale, anche se ciò non esclude il bene materiale.

La prima lettura, infatti, presenta Dio come un pastore buono che si dedica indefessamente al bene del suo gregge. Il Vangelo, invece, ci presenta Gesù che, alla fine dei tempi, giudicherà tutti sui gesti di amore donati agli altri. Di fatto, fin dall’inizio della sua predicazione, Gesù ha sempre spinto il suo sguardo al di là di questa vita terrena ed è per questa ragione che Egli, nel grande discorso contenuto in Matteo 25, parla di un grande giudizio che Egli pronuncerà su tutti i popoli della terra: tutti quelli che hanno avuto in dono la vita, anche se non hanno mai sentito una parola di Vangelo, hanno tuttavia sentito l’insopprimibile voce del cuore e della coscienza che suggeriva loro di compiere il bene. È la parola di Dio scritta nella carne di ogni persona. È il Verbo, il Figlio di Dio che si è fatto uomo per rendere più esplicito questo radicale comandamento che ogni persona umana porta con sé. Oggi tentiamo, attraverso le scienze umane (psicologia e sociologia), di scusare tutto e tutti al fine soprattutto di scusare noi stessi. Ma l’amore che è dentro la vita, nel più profondo della vita, è una scelta che riguarda il mistero della persona: si può amare, se si vuole, anche contro tutti i condizionamenti e tutti nostri traumi. Sì, come ha mirabilmente intuito san Giovanni della Croce, alla fine della vita saremo tutti giudicati sull’amore, o almeno sulla fatica dell’amore.

Del resto, attraverso l’annuncio di Gesù, noi tutti sappiamo ormai che Dio non è una persona inaccessibile o lontana. Si fa conoscere da chi lo cerca, mentre il suo volto è nascosto nel volto di tutti coloro che incontriamo, specialmente dei più deboli. Se Dio ha un tempio vivo, questa è l’umanità sofferente, anche l’umanità di oggi che sembra non avere più uno scopo, una meta, una direzione. Egli si trova nell’Eucaristia, ma si trova pure nella povertà materiale e, ancora di più, nella povertà spirituale, dei piccoli e dei poveri che chiedono anche un’educazione.

A ragione Giovanni Paolo II diceva che la più grande povertà è quella di mancare di un’educazione culturale e spirituale. Gli uomini, dunque, saranno giudicati sull’amore operoso, sul servizio disinteressato che avranno avuto verso Gesù, riconosciuto in questi poveri che non hanno avuto questa educazione ad una vita buona e bella. Questa verità fondamentale della fede cristiana deve accompagnarci tutti in questa settimana che chiude il nostro anno liturgico, già in attesa di quel Bambino che ricomincerà, nella preparazione del Natale, ad insegnarci, giorno dopo giorno, anno dopo anno, il bellissimo valore della bontà e della tenerezza. Bontà e tenerezza che, come canta il salmo di oggi, conducono tutti «nel regno della vita».