Gesù e le scritture di Israele
1. Che rapporto esiste tra Gesù e Israele e tra la Legge e la sua parola? La domanda è di radicale importanza perché dalla sua risposta dipende il nostro rapporto con Israele e le sue Scritture, e più estesamente con i testi religiosi dell’umanità e i popoli che ad essi fanno riferimento. Tema di evidente attualità: sminuire, negare e bruciare il «Libro» di un popolo è l’anticamera del rigetto del popolo stesso. La Shoà insegna che l’ «antisemitismo», cioè l’avversione razziale, culturale e sociopolitica nei confronti di Israele, si è nutrito e continua a nutrirsi di « antigiudaismo» per ragioni dottrinali. Da qui l’urgenza di privare il primo di ogni giustificazione religiosa, teologica. E illuminante a questo proposito è la pagina evangelica di Matteo.
2. Gesù è un ebreo nato da donna ebrea nell’ambito della legge mosaica (Gal 4,4), è un «figlio del comandamento» che «cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui» (Lc 2,40-43). Sapienza succhiata dalla Torà, gli amati rotoli della Legge ( Sal 119,97) a lui gioia, dolcezza, luce e discernimento (Sal 119, 16.103.105), di essi adempiuto interprete come sta scritto: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire ma a dare pieno compimento» (Mt 5,17).
Detto altrimenti: non pensate che sia venuto a dissolvere ma a compiere. Gesù è l’inviato di Dio non a dichiarare rigettato, ripudiato e sostituito Israele (Rm 9,4-5; 11,1-2. 28-29), e neppure a proclamare scadute e sorpassate le sue Scritture, al contrario è venuto a compierle. Verbo da un duplice significato: portare a piena misura-praticare a piena misura, a voler dire che in Gesù le potenzialità interne alle Scritture sono state fatte emergere compiutamente e che in lui l’adesione dell’uomo alla parola di Dio è stata solo Sì.
Di fatto l’evangelista Matteo all’interno della molteplicità delle scuole interpretative, senza l’interpretazione la Scrittura non vive, presenta Gesù come l’interprete perfetto di essa, come l’atteso a svelare in termini inequivocabili la volontà di Dio sottesa a ogni pagina della Legge e dei profeti, volontà nascosta persino nella più piccola lettera dell’alfabeto, lo iota (jod), e in ogni trattino o virgola (Mt 5,18-19). Scritture dunque uguali a icone verbali in cui è dato vedere e ascoltare la ineffabile intenzionalità del Padre che Gesù, nella lettura matteana e cristiana, fa emergere a piena luce: «Siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti»( Mt 5,45).
Di questa filialità in cui sta la «giustizia sovrabbondante» (Mt 5,20) Gesù è il commento adempiuto in parole e in opere, è colui che dischiude a leggere tutta la Scrittura come racconto dell’amore incondizionato del Padre in lui fatto carne. È in questa ottica che vanno lette quelle che a torto sono state chiamate le antitesi: «Avete inteso che fu detto agli antichi Ma io vi dico» (Mt 5,21-37), ove l’«avete inteso» si riferisce direttamente ai commenti alle Scritture fatti in sinagoga e nelle scuole rabbiniche, mentre il «fu detto» rimanda a Dio stesso come fonte prima da cui esce la sua parola sorgente di una storia di alleanza di cui la Scrittura è memoria e testimonianza, e per «antichi» si intende la catena di quanti hanno trasmesso oralmente la Legge dal Sinai in avanti.
In questo contesto il « ma io vi dico» va inteso come « ma io aggiungo ancora di più molto di più» (A.Mello) alle interpretazioni fatte a proposito della Tora’, sprigionando tutta la ricchezza della parola di Dio sottesa alla Legge e ai profeti. Così il « Non ucciderai», parola di Dio (Es 20,13; Dt 5,17), comporta il non ferire l’altro attraverso la violenza del giudizio e dell’offesa verbale: « Pazzo-Stupido» (Mt 5,21-26). « Con la voce e con il desiderio si commette un omicidio, anche se non si alzano le mani contro il prossimo» (Gregorio Magno). Alla stessa maniera il « Non commetterai adulterio», parola di Dio (Es 20,14; Dt 5,18), implica il non adulterio del cuore e dello sguardo e il non ripudio (Mt 5,26-32); mentre il « Non giurerai il falso» (Es 20,7; Dt 5,11) diventa non giurare affatto e ingresso nella sincerità del parlare: « Sì-sì e No-no» oltre ogni doppiezza, la comunicazione menzognera (Mt 5,33-37). In Gesù il «detto», parola di Dio, è fatto «intendere» in tutta la sua portata e ogni altra interpretazione è misurata dalla sua.
3. Alla domanda circa il rapporto tra Gesù e le Scritture di Israele possiamo dunque rispondere in questi termini: in lui la parola di Dio di cui la Scrittura è il grembo raggiunge il suo apice e in lui le interpretazioni di tale parola hanno il loro ultimo criterio di discernimento. Questa legittima prospettiva cristiana non significa però abrogazione della Legge e delle sue riletture all’interno dell’ebraismo, attraverso le quali Dio continua a parlare, a orientare e a salvare. Al modello della sostituzione deve subentrare il modello della duplice interpretazione, il che comporta per i cristiani il compito di riformulare la propria identità a partire dal fatto che Israele esiste come « Israele di Dio» e che la Torà reinterpretata nei secoli dai maestri di Israele continua ad esistere come senso e luce per Israele. Non solo, ma la convinzione che Legge e profeti abbiano in Gesù il loro senso pieno e lo splendore della loro luce genera una grande responsabilità, quella della sovrabbondanza dell’amore verso Israele e la sua Scrittura come verso ogni via religiosa e le sue Scritture e altresì verso ogni coscienza laica.
Il Vangelo libera da logiche di eliminazione, apre al riconoscimento dell’altro e dei suoi cammini come dono di Dio, obbliga ad un amore senza misura e condizioni e in umiltà racconta che questo significa « non sono venuto ad abolire la Legge o i profeti, ma adare pieno compimento».